Vi racconto Milano “tutta de bere” al tempo del Covid

Milano, capoluogo di una regione nella quale vive 1/6 della popolazione italiana.

Milano non è New York e nonostante il nuovo skyline ha ancora i tram del ‘900, contrasto che la rende decisamente affascinante.

Sono nata e cresciuta a Milano negli anni di piombo. Una città austera, esigente, spietata, molto grigia, avvolta per mesi in una fitta nebbia che oggi non si vede più. Era una nebbia necessaria perché, non regalando paesaggi romantici e troppe distrazioni, conciliava il senso del dovere, del fare, del produrre. Il mix tra il rigore austro ungarico, innato nel suo tessuto sociale , e  il lavoro di braccia e menti  instancabili arrivate da ogni regione d’Italia (anche dalla verde Irpinia, come mio padre) hanno fatto la “grande Milano”. Una metropoli con la M maiuscola e con il valore aggiunto dell’ “italianità”.

Negli anni 80 la nebbia ha iniziato a dileguarsi, il piombo si è trasformato in oro e Milano è decollata sul Concorde. E’ diventata indiscussa capitale della moda, rubando il primato a Parigi , grazie ai suoi stilisti e alle  modelle sbarcate da tutto il mondo. E’ diventata imprescindibile punto di riferimento del mondo del business, della finanza e del lusso e anche sede principale della televisione commerciale, dello spettacolo, del marketing, della pubblicità, dell’editoria. I riflettori si sono accesi attirando un pubblico sempre più internazionale ed insaziabile di “Italian life style “. La mitica “Milano da bere” . E chi se la dimentica!

Non c’è persona della mia generazione che, a prescindere dalla professione o dal ceto sociale, non abbia assaggiato l’irresistibile “cocktail milanese” di euforia ed edonismo. Ci siamo sentiti tutti protagonisti di uno stile  di vita che  tutto il mondo ci ha invidiato.

La vera forza di Milano è sempre stata quella di sfidare, di sfidarsi e di trainare. Il pragmatismo, la tenacia, la competitività sono stati gli ingredienti vincenti grazie ai quali Milano, nel terzo millennio, si è conquistata l’Expo. E con esso finalmente ha fatto l’”upgrade” trasformandosi in una città capace di accogliere non più solo manager, modelle e business men, ma anche milioni di turisti provenienti da tutto il mondo. Finalmente “Milano città d’arte”.

Finalmente ha iniziato a pulsare tutto l’anno, senza distinzione di stagioni. Tutto ciò ci ha permesso di superare quel senso di frustrazione e di provincialismo che provavamo quando a Ferragosto non sapevamo dove andare a fare la spesa o a bere un caffè perché era tutto chiuso. Come in un “lockdown”.

Ho studiato le lingue e viaggiato il mondo, ma il termine “lockdown” sinceramente non lo conoscevo. Significa confinamento, chiusura forzata e tutto ciò non aveva mai toccato la mia vita in nessuno dei suoi aspetti.

E invece oggi, in tempo di covid 19, questo termine è  diventato un leitmotiv quotidiano. Ci minaccia da quando apriamo gli occhi la mattina a quando li richiudiamo la sera. Se li richiudiamo. In questi giorni Milano, come tutta l’Italia, è di nuovo invasa dal virus e sotto minaccia di lockdown. La grande Milano, già ferita profondamente in tutti Ii suoi settori durante la prima fase della pandemia, dopo una breve tregua in cui ci si era illusi di poter riprendere a vivere di moda, ristoranti, hotel, shopping, eventi e fiere, si ritrova nuovamente a fare i conti con il virus invisibile che si nutre delle nostre vite.

In tempo di “normalità” il termine “virale” viene utilizzato per descrivere il fenomeno di diffusione e di condivisione di contenuti sui social. Oggi i termini “virus, virale” e “positività “ci riportano immediatamente alla loro accezione più drammatica. Il covid 19 è un’infezione virale che da mesi sparge sofferenza e morte in tutto il mondo. Ironia della sorte, ci impedisce ogni genere di aggregazione, di contatto e di condivisione nella vita reale.

Per Milano tutto questo sta rappresentando un dramma imponente. La città ha le spalle larghe e i milanesi sono tenaci. Si cerca di continuare a testa alta e allo stesso tempo di lavorare a testa bassa, di rimanere lucidi nonostante la paura, le incertezze, la mancanza di protezione e le frustrazioni.

Milano non è abituata a essere frustrata e ad avere paura.

Ma il virus è stato capace di cose fino a pochi mesi fa inimmaginabili. Abbiamo visto chiudere per sempre negozi internazionali grandi, piccoli e medi. Hanno chiuso definitivamente anche bar e ristoranti storici in strade e quartieri che pullulavano di attività correlate allo shopping. A Milano in tempi normali gli incontri  di lavoro si svolgono spesso durante cene, pranzi, aperitivi, eventi. I classici incontri tra professionisti che creano sinergie tra loro.

Spazzato via tutto.

Primato di eccellenza in merito alla Sanità, Milano e la Lombardia hanno sempre rappresentato il luogo ottimale dove curarsi. Gli ospedali pubblici e privati e i numerosi centri diagnostici convenzionati ci hanno fatto sempre sentire orgogliosi e sicuri e ci hanno sempre permesso di ottenere screening, diagnosi e cure in tempi da record, non paragonabili a quelli di altre città italiane notoriamente in sofferenza.

Ebbene, il virus ha spazzato via anche tutte queste certezze. Il covid ha divorato tutto lasciandoci spiazzati di fronte ad un Sistema Sanitario modello che è saltato completamente per aria.

Uno dei danni più evidenti di questa pandemia a Milano è la paura mista a diffidenza verso il prossimo. Una volta si diceva che i milanesi se la tiravano e non davano confidenza. In effetti il milanese è noto per camminare per strada frettolosamente e senza curarsi di nulla e di nessuno, se non dei suoi affari. In teoria dovremmo essere abituati. Ma questo virus ha agito sulle menti e nelle anime con una forza molto più potente rispetto all’indifferenza da stress da lavoro. Si cammina per strada guardinghi e sospettosi in modo ossessivo. Nelle scuole si è addirittura generato il “bullismo da covid”. Se un ragazzo ha un genitore positivo e lo comunica, con tutte le procedure ufficiali, mettendo in guardia i compagni e rimanendo a casa in quarantena, anziché ricevere solidarietà  e sostegno, viene accusato di essere un untore.

A causa della pericolosità della vicinanza sui mezzi pubblici, Milano è intasata da un traffico di persone che utilizzano l’auto singolarmente. Fa impressione, è uno spaccato di angoscia e di solitudine forzata che si aggiunge a tutte le altre forme di privazione.

Una nota di ironia potrebbe non guastare in questo momento difficile. Milano è  la città dei single e il covid ha creato spaesamento e depressione in coloro che , tra spritz, Bellavista e Franciacorta, approfittavano dei locali più trendy per finire la giornata in bellezza e provare nuove emozioni. Per non parlare di chi si è conosciuto in metropolitana o in tram essendo un “abitué” di una certa linea.

Tuttavia, in questo momento surreale, vince il rispetto per la vita. Deve vincere.

Milano , come tutte le altre metropoli, non può sottrarsi al sacrificio e alla rinuncia. Milano deve proteggersi e proteggere i più deboli, come gli anziani spesso soli e chiusi negli appartamenti, privi di assistenza e di supporto. A Milano ci sono tantissimi anziani che meritano attenzione e gratitudine perché sono loro che l’hanno fatta rinascere dopo gli orrori delle guerre riconsegnadocela con fiducia ed orgoglio.

Il contagio aumenta di ora in ora  e di pari passo aumentano le polemiche, la ribellione e gli sfoghi di coloro che, a prescindere dai danni economici, non accettano le restrizioni. Sul fronte opposto, aumenta la paura ossessiva di chi teme il peggio e semina panico.

Le certezze purtroppo sono poche, chi ci governa e chi ci amministra brancola tra buio ed errori e noi , oltre a pagarne il caro prezzo, abbiamo il dovere di prendere sul serio questo nemico. Nella solidarietà,  nel senso di responsabilità  e nel rispetto di chi,  ad oggi, sta soffrendo in corsia o di chi sta ancora cercando di accettare la perdita di persone care che non ce l’hanno fatta durante la prima ondata.

Anche in questa terribile pandemia vorrei tanto essere orgogliosa di una Milano grande, reattiva, solidale. Vorrei che fosse, ancora una volta e più che mai, modello di speranza, esempio di pragmatismo, di rigore , di civiltà e di vicinanza a chi ha più bisogno. Nonostante la parola d’ordine sia  “ rimanere distanziati”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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