Stefano D’Orazio e i Pooh quando il mio cuore era tra loro

(Franco Genzale): Ha destato grande commozione la scomparsa del batterista storico dei Pooh Stefano D’Orazio. Ho chiesto ad Anna Carmen Lo Calzo, collega irpina ed ex modella che vive a Milano, un ricordo di D’Orazio e del Gruppo che ha lasciato una traccia importante nel panorama musicale italiano.

Anna Carmen è stata per anni la compagna di Dodi Battaglia proprio ai tempi del grande successo dei Pooh. Forse nessuno meglio di lei può restituirci il profilo umano degli artisti al di fuori e al di sopra del palcoscenico.

 

– di Anna Carmen Lo Calzo –

Era il 1985 ed ero agli esordi della mia carriera di modella. Nella eccitante Milano, nella quale si intrecciavano vite spericolate, storie da rotocalchi e potenti alchimie tra artisti, modelle, attrici, campioni sportivi e rock star, fui invitata ad una “festa per single”. Scoprii che la location era la casa dello storico manager del gruppo musicale italiano più celebre al mondo: i Pooh.

Nel 1985 avevo 18 anni e solo qualche anno prima scappavo di casa, inseguita da mio padre, per andare ai loro concerti. Li adoravo, scrivevo dediche sul diario, appendevo poster e foto alle pareti, piangevo quando finiva il concerto o quando incontravo in autostrada la carovana dei loro tir itineranti con il grande logo “Pooh”. Pensavo che dentro ci fossero loro.

A 14 anni sognavo ad occhi aperti la vita e le emozioni che stavano per travolgermi e, ironia della sorte, ascoltavo i loro brani che raccontavano di amori, di viaggi, di storie, di mondo che mi aspettava.

Quella sera al party c’era Dodi Battaglia, il chitarrista dei Pooh. Per me fu una sorpresa a dir poco surreale e per entrambi fu un vero e proprio colpo di fulmine. Un incontro magico, destinato a durare 6 anni, qualcosa di molto simile ad una favola, ad un film. La modella e la rock star, lo stereotipo fece scalpore.

I Pooh mi accolsero in famiglia con grande affetto. Rendevo Dodi felice e, come è noto, nell’equilibrio di un gruppo la serenità è direttamente proporzionale alla resa artistica.

Erano molto più di un gruppo musicale. Erano un’azienda, un’impresa di stampo “calvinista” per il rigore, la serietà, la dedizione e il senso di sacrificio che li caratterizzava. Prima di essere un gruppo iconico della storia della musica e dello spettacolo, i Pooh erano Uomini. Appassionati, complici e leali, nonostante l’assortimento dei caratteri e la differenza di mentalità e di cultura. I Pooh erano giovani uomini perbene, tutti provenienti dalla gavetta. Venivano da Bergamo, da Bologna, da Treviso e da Roma e forse per questo sono stati amati (e lo sono ancora) da padri, madri, figli, nonni e nipoti di tutta Italia.

Con i Pooh ho vissuto giorni indimenticabili a Milano, a Roma, a Napoli, a Cefalù, a Taormina, in Sardegna, in Calabria, nel Salento, a Cortina, a Toronto, a NY, a Los Angeles, a Hollywood. Ero la loro “mascotte”, la più giovane delle compagne e la più presente, instancabile ed immancabile, anche per volontà di Dodi. Viaggiavamo per le metropoli americane in limousine. In quelle megalopoli i Pooh erano persone qualsiasi, gli autografi li firmavano solo all’uscita dei teatri e non per strada, al ristorante o all’autogrill, come in Italia. Tutto sommato ci si rilassava.

Dopo i concerti a Brooklyn o a Toronto si andava nelle taverne degli italo americani (compreso qualche parente irpino) a mangiare i talli, le salsicce, i peperoni sott’olio e le mozzarelle arrivate dall’Italia. Si brindava fino alle 4 di mattina con calici di aglianico accompagnato da Torrone Strega. Un mix straordinario!

Con i Pooh ho conosciuto Zucchero e Vasco Rossi, Luciano Pavarotti, Paco de Lucia, il chitarrista dei Dire Straits e il suo costruttore di chitarre, Eros Ramazzotti, Pino Daniele, Pippo Baudo. Non si contano le serate improvvisate tra musicisti, momenti di scambio e di autentica passione che rimarranno nel mio cuore per sempre.

Ho conosciuto i Pooh l’anno in cui Roby, Dodi, Red e Stefano festeggiavano i loro primi 25 anni insieme.

Era l’anno dell’album “Giorni Infiniti”, colonna sonora del mio primo tour italiano. Fu eccitantissimo, un’esperienza di vita intensissima, emozioni immense.

Con i Pooh ho imparato lo spirito di squadra (che non aveva mai fatto parte della mia vita), ho imparato a capire un arrangiamento musicale, ad ascoltare una voce, a riconoscere un talento. Ho imparato a guidare le macchine potenti, a non dormire se necessario, a cenare alle 2 di notte, ad attendere con pazienza e rassegnazione a casa, in sala di incisione, in un camper, in hotel. Ho imparato a fare la mamma e la zia, visto il numero di figli che Dodi, Roby e Red avevano già all’epoca. Mi chiamavano “la fidanzata dei Pooh” e con Dodi si scherzava. Ma è così, perché se vivi con uno di loro, vivi con loro.

I quattro orsacchiotti amavano le donne e di donne ne hanno avute tante. Tra loro vigeva la regola, più o meno rigida, del “non farle mai intromettere negli affari dei Pooh” e del “non farle interagire troppo tra loro”. Funzionava. Dopo l’esperienza di Patty Pravo, che rovinò la carriera a Riccardo Fogli, va da sé che non avrebbero potuto permettersi altre crisi del genere.

Il mio cuore viaggiò instancabile, giorno e notte, su strade e autostrade, su aerei e su treni.

Il tour dei Pooh era la mia vacanza. Una vacanza “ossimoro” fatta di stanchezze e di viaggi infiniti. La tournée dei Pooh ha significato anche dolore e tragedia. Più di un tecnico, anche un’intera famiglia, persero la vita in incidenti stradali notturni durante i tour estivi o per il crollo del palco durante lo smontaggio.  

Ad essere onesta, col senno di poi, è stata dura.

Una delle mie postazioni preferite ai concerti era un angolino nascosto “lato palco”. Stavo accanto a Stefano, il batterista, il quale, tra una bacchetta e un’altra, tra un coro e un assolo, tra le gocce di sudore e i capelli ancora più gonfi e ricci per l’occasione, mi lanciava il suo sorriso complice e puntualmente si meravigliava della mia resilienza e della voglia di cantare, di coinvolgermi ancora, dopo l’ennesima serata.

Stefano all’epoca era l’unico Pooh senza figli. Adorava la sua famiglia e sua madre, una signora con i suoi stessi occhietti svegli e pieni di idee. Ricordo anche la fidanzata, Lena Biolcati, una cantante “meteora” con una voce strepitosa. Stefano amava Roma, la sua città. Era il Pooh più manager, più stratega, più intraprendente, più introdotto, più mondano di tutti. Era ironico, solare, giocoso. Battuta sempre pronta, era romano.

Stefano è stato un Pooh fino a quando ha deciso che i Pooh non dovevano più esistere, se non nei ricordi. Fu lui qualche anno fa a ritirarsi, a “fermare la macchina della musica” per dedicarsi ad altro. Forse i suoi compagni, ancora oggi, soffrono in silenzio. Da gentiluomini perbene, quali sono, nessuno dei tre ha mai esternato disappunto o risentimento, ma il dispiacere per lo scioglimento della band è stato grande. Ognuno di loro ha continuato come solista, ha organizzato progetti con altri artisti e ha sempre sostenuto che i Pooh esisteranno per sempre. Sono semplicemente diventati “Uomini soli”.

Oggi più che mai Dodi, Roby e Red sono rimasti soli. Stefano li ha lasciati il 6 novembre.

Questa volta se ne è andato per davvero, lottando da solo contro il virus mostruoso. Quel Covid 19 che non perdona i deboli e i cagionevoli, quello che, appena può, ti dà il colpo di grazia.

Stefano lascia i Pooh nel dolore e nella rabbia, lascia i compagni di una vita intensa e di emozioni fortissime.

Stefano lascia coloro che lo hanno amato, coloro che lo hanno conosciuto, coloro che lo hanno applaudito, coloro che lo hanno sognato e chi, come me, gli ha tenuto compagnia con un semplice sorriso, a lato palco, per giorni infiniti, mentre il cuore cantava.

“Buona Fortuna”, caro Stefano.

“ll cielo è blu sopra le nuvole” e lo sarà anche per te.

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