Camorra e aste giudiziarie: “Nel tribunale tutti erano soggiogati dal potere del clan”

Nuovo Clan Partenio e le aste giudiziarie. Nelle conclusioni del gip Finamore l'attività camorristica viene definita una metastasi che aveva soffocato l'intero territorio irpino, profittando della disperazione delle vittime, ed era arrivata a spadroneggiare nelle aule del tribunale di Avellino. Il ruolo di collegamento di Genovese e Pagano, i collanti tra i Galdieri e i Tretre

Non si erano fermati nemmeno dopo il fragore dell’inizio dell’inchiesta. Per questo il gip del tribunale di Napoli Fabrizio Finamore, dopo aver messo assieme tutte le carte d’indagine presentate dalla procura antimafia, ha convalidato la richiesta delle misure cautelari in carcere e a domicilio per gli appartenenti al clan.

E così la cricca delle aste giudiziarie finisce dietro le sbarre, in attesa degli interrogatori di garanzia che inizieranno già da domani in videoconferenza dal carcere; secondo il giudice era fondato il pericolo di reiterazione del reato e di inquinamento delle prove, con possibili minacce nei confronti delle vittime che con le loro testimonianze hanno aiutato gli inquirenti a svelare il criminoso sistema messo in piedi in primis dalle famiglie Forte e Aprile, che poi hanno cercato di fare “il salto di qualità”, scrive testualmente Finamore, cercando il sostegno dei membri del Nuovo Clan Partenio, capeggiato dai fratelli Galdieri.

A creare le basi del nuovo sodalizio la procura individua i due elementi di collegamento: Damiano Genovese, figlio del boss Amedeo, di cui i Galdieri al tempo del clan Genovese erano i fidi scagnozzi, sposato con una figlia dei fratelli Forte; e Beniamino Pagano, classe 1980 di Mercogliano, pregiudicato, con parecchi precedenti per estorsione, più volte condannato e rinchiuso in carcere assieme a Pasquale Galdieri, di cui era considerato il braccio destro, e riconosciuto a Capocastello come l’ultimo boss ancora in libertà.

“Anche le pietre sapevano cosa accadesse nelle aste in città” dicono le vittime, che si descrivevano come cadaveri divorati dai loro aguzzini, a cui venivano “vendute emozioni”, per dirla come Armando Aprile: le emozioni erano quelle della disperazione della povera gente, che avrebbe fatto di tutto per riappropriarsi dei beni persi all’asta e che si vedevano costretti a pagare una cifra aggiuntiva, fino ai 15-20mila euro ma anche di più, rispetto al prezzo a cui se l’aggiudicavano i Tretre, che partecipavano all’asta in solitaria dopo aver minacciato esecutati e possibili interessati.

Il Nuovo Clan Partenio e i Tretre erano riusciti a mettere in piedi “un sistema criminale avanzato di tipo mafioso”, scrive il gip, “che faceva sentire la sua presenza greve, invasiva e soffocante su tutto il territorio irpino, profittando della disperazione delle vittime”. L’attività del clan viene definita dagli inquirenti “una metastasi, arrivata a spadroneggiare letteralmente anche nelle aule del tribunale, dove tutti erano soggiogati al potere del clan”, continuano a scrivere l’antimafia e il gip Finamore, “e che cresceva e si arricchiva di giorno in giorno nel silenzio e nell’omertà delle persone che accettavano remissivamente e passivamente quella che era una triste e greve realtà”, vittime che venivano “munte” dalle richieste del clan, che si approfittava della loro disperazione “con spregiudicatezza e una spietata freddezza per spillare soldi”. Vittime soggiogate e intimorite a tal punto che dopo le testimonianze, nonostante la presenza delle forze dell’ordine, continuavano a sentirsi in pericolo per la loro incolumità

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