Cabrini: “Maradona sarebbe ancora vivo se all’epoca fosse stato della Juve e non del Napoli”

Nell’anno funesto in cui il mondo si trova in ginocchio a causa di una pandemia, il 25 novembre 2020 lo stesso mondo si rialza per inchinarsi alla triste notizia della scomparsa di un uomo che su questa terra ha vissuto, ma che di fatto faceva parte di un altro pianeta. C’è chi lo descrive come un dio, chi come il re assoluto del calcio mondiale di tutti i tempi, chi lo paragona ad un personaggio mitologico, chi lo definisce il genio ribelle al quale tutto fu concesso.

Diego Armando Maradona se ne è andato dalla terra come un comune mortale, nonostante non lo fosse. Se ne è andato troppo presto, nonostante è noto che da anni fosse in preda a seri problemi di salute che tutti conosciamo. El Pibe de Oro aveva appena compiuto 60 anni e aveva affrontato un delicato intervento chirurgico cerebrale, l’ennesima sfida giocata con coraggio e grazie al supporto dei medici e delle persone che gli stavano accanto 24 ore su 24. Ma questa volta a rialzarsi non ce l’ha proprio fatta. Per la prima volta, dopo decenni di prodezze e di spregiudicatezze, di cadute e di risalite che lo facevano sembrare un eroe invincibile ed eterno, improvvisamente è sparito come un fragile terrestre sfinito, vulnerabile, indebolito, arrivato al traguardo nel giorno che non avremmo mai voluto immaginare.

“Maradona era una leggenda vivente”. Così esordisce nel suo racconto in ricordo dell’ex “collega” un altrettanto grande del calcio mondiale, nostro connazionale. Antonio Cabrini, uno dei terzini più forti della storia del calcio, campione del mondo con la nazionale italiana nel 1982, ex capitano della Juventus nella quale militò per 13 stagioni, incontrò Maradona per la prima volta nel 1978 in Argentina. “In quel mondiale Maradona non fu convocato, ma io lo vidi giocare e capii immediatamente che si trattava di un fenomeno senza precedenti, un fuoriclasse dalle qualità innate, fuori da ogni logica tecnica e calcistica. Era un ragazzino con un talento, una grinta e una determinazione impressionanti. Nel 1982 Maradona, come tutti ricorderanno, giocò nella nazionale Argentina, una delle più forti al mondo. Maradona emerse come la punta di diamante e fu un trionfo. Insieme, ovviamente, alla nostra storica impresa in cui diventammo i campioni del mondo. Come diciamo sempre ancora oggi tra noi ex compagni della nazionale, Maradona era imprendibile, immarcabile e in quel mondiale Bearzot decise di affidarlo a Gentile. Ma fu comunque un lavoro di squadra, dovemmo tutti dedicarci a lui perché se soltanto gli lasciavi toccare la palla, non lo riprendevi più. Per farti capire, Bearzot arrivava a dirci scherzosamente: inseguitelo anche in bagno!”.

Cabrini non ha dubbi sul fatto che Maradona è stato, insieme a Pelè, il più grande giocatore di tutti i tempi. “Non si possono fare paragoni perché fanno parte di due periodi diversi, ma la cosa che li accomuna è il fatto che entrambi avevano una visione del calcio che andava oltre ogni tecnica e ogni logica calcistica. Avevano un talento, una genialità innata che andavano oltre il lavorare sodo o l’allenarsi. Questo li ha resi dei veri e propri eroi ”.

Ma che cosa aveva di speciale Maradona rispetto ad altri campioni? “Maradona in campo era corretto, disciplinato, veniva marcato in modo pesante, come è noto, ma non si lamentava mai. E questo faceva di lui un avversario leale. Era un leader forte, coraggioso, irraggiungibile, generoso. Il Napoli, grazie a lui, vinse lo scudetto nel campionato ’86-‘87. In quegli anni Napoli divenne una sorta di sua appendice perché Napoli era Maradona e Maradona era Napoli. Fu un amore viscerale. Tuttavia, nell’ambiente pallonaro Maradona non era un giocatore del Napoli , ma era il giocatore di tutti, un fenomeno percepito come tale, a prescindere dalla squadra in cui militava. Per noi Diego fu un esempio di coraggio e di generosità senza eguali”.

Cabrini ricorda Maradona come un avversario gentiluomo, ma lo ricorda soprattutto fuori dal campo. Lo definisce “un ragazzo d’oro con un cuore grande. Diego si è caricato sulle spalle le sorti di una società come il Napoli Calcio, facendole ottenere ottimi risultati; ma si è caricato sulle spalle anche le sorti della città. il suo impegno ha provocato a Napoli un vero e proprio cambiamento sociale. Maradona arrivava da una famiglia molto povera e lì ha trovato un ambiente simile a quello dal quale proveniva. Il suo è stato un impegno appassionato verso la città perché si è immedesimato in tutte le sue problematiche. Napoli si è trasformata con lui.”

Ma non possiamo fare a meno di entrare in un altro aspetto del grande campione, ossia il contrasto tra la sua maestosità in campo, la sua umanità nei confronti dei più deboli e la sua debolezza nei confronti di sé stesso. Maradona ha messo insieme l’eccellenza sul campo e la sregolatezza masochistica nella vita privata.  Con Antonio ho affrontato questo argomento, è un tema che gli sta molto a cuore. “Maradona è stato il meglio e il peggio allo stesso tempo, come tanti fuoriclasse. La forza, il vigore e la genialità che metteva sul campo si trasformavano in mancanza di equilibrio nella vita. Era un passionale, un sanguigno, un istintivo e tutto ciò, unito ai soldi, al potere, al successo e all’incapacità di resistere a certe tentazioni, ha generato una sorta di debolezza in un cocktail esplosivo. Il successo spesso ti porta ad essere potente, invincibile, ma quel coraggio e quella spregiudicatezza che mostri in campo si sono ripercossi negativamente nella sua vita. Un conflitto assai difficile da gestire. Napoli lo amava alla follia, ma fu un “amore malato”. Era come l’amore incondizionato di una madre verso un figlio che sbaglia, ma al quale si perdona tutto. Maradona a Napoli era intoccabile, nessuno ebbe mai la forza ed il coraggio di dirgli che stava sbagliando. Maradona per Napoli è stato orgoglio, riscatto, sogni avverati, promesse mantenute e questo ha fatto di lui un uomo al quale si è concesso tutto. Maradona trascendeva il calcio e Napoli scelse lui, a prescindere da ogni vizio, come il santo da venerare.”

Già, un idolo senza se e senza ma. E allora mi viene spontaneo chiedere a Cabrini che cosa sarebbe stato di Maradona se, anziché giocare nel Napoli, avesse giocato per tutti quegli anni insieme a lui, nella  Juve. Percepisco da parte di Antonio un lieve sussulto, non vede l’ora di rispondermi e lo fa. “ Se Maradona avesse giocato nella Juventus, non solo avrebbe potuto vincere molto di più, ma forse oggi sarebbe ancora qui.” Affermazione di una certa forza. “Sì, sarebbe ancora qui perché l’ambiente lo avrebbe salvato. Non la società, ma proprio l’ambiente. L’amore di Napoli è stato tanto forte e autentico quanto, ribadisco, malato.”

Maradona non ha perdonato sé stesso per essere caduto nella droga e in altri vizi, eppure la sua gente lo ha sempre perdonato. Maradona, nonostante tutto il peggio che ha dato di sé in alcuni momenti della sua vita, ha dato vita a milioni di persone che, grazie a lui, si sono sentite parte del mondo e sono riuscite a sperare e a sognare. Non si puo’ dire che questo sia poco. Antonio sottolinea ancora una volta che “Maradona in campo avrebbe potuto vincere una partita da solo e in un altro ambiente avrebbe potuto vincere anche quella della sua vita terminata troppo presto ”.

Da solo, con il suo estro, è sempre riuscito a fare la differenza, nonostante lavorasse in squadra. Disciplinato, sempre a testa alta, correva per vincere, tirava per vincere e per l’amore della sua gente. Ma ha fatto tanti errori, quelli che lo hanno portato anche a confessare di essersi pentito e ad ammettere che senza i vizi avrebbe potuto fare molto di più.

Chissà cosa sarebbe stato di lui se avesse giocato nella Juve, come dice Antonio. Ho la sensazione che un tale fenomeno, un tale genio sregolato abbia potuto essere colui che è stato proprio per come è stato e per dove è stato. Nel giorno in cui Diego Armando Maradona saluta il mondo per l’ultima volta e, forse, torna sul pianeta dal quale è arrivato, ho l’impressione che Napoli e Maradona siano una cosa sola e che insieme sono stati, e saranno per sempre, la luce immensa che lo accompagnerà nel suo viaggio verso la pace.

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