Riflessioni sul Covid / Dolore ma anche speranza

– Di Clara Spadea* –

… E poi, mentre eravamo come sempre chiusi nei nostri conflitti interiori, d’improvviso ci siamo trovati catapultati in una guerra non più esclusivamente nostra, ma anomala, inattesa e, soprattutto, universale.
Eppure non si sono uditi colpi di fucile né cingoli di carri armati, ma solo notizie allarmanti ripetute a raffica dai telegiornali quotidiani; e rumore di sirene, in corsa da un capo all’altro delle città; abbiamo visto file di camion militari, lontani, con il compito di trasportare altrove le troppe vittime di questo conflitto inaspettato.

E niente allora è stato più lo stesso: le città d’un tratto sono apparse vuote, mute, i volti imbavagliati, i passi distanziati, gli abbracci vietati, le inezie annientate.
Come qualsiasi guerra, anche questa causata dal Covid Sars 19 ha avuto il potere di stravolgere la vita di tutti, ha seminato abbandoni, ha dato al tempo un senso diverso, sospeso, doloroso, fatto di silenzi rimbombanti.

Al chiuso delle nostre case, abbiamo seguito i telegiornali che trasmettevano in continuazione i numeri, abbiamo conosciuto la forza e la fredda malvagità di un nemico invisibile, con la sua capacità di colpire indistintamente giovani e anziani, andati via per sempre senza nemmeno il conforto di uno sguardo, di una mano stretta, di una lacrima condivisa.

E così ci siamo accorti quanto, nell’evoluto 2020, siano ancora attuali i sentimenti di fragilità, di paura, di impotenza.

Perché abbiamo avuto tutti paura.

E ci siamo sentiti tutti profondamente fragili e privi di difesa.

E impotenti abbiamo assistito all’immane lavoro dei medici e degli operatori sanitari senza poter essere loro di valido aiuto; abbiamo pensato agli anziani rimasti soli nella vita e privati, ora, anche di qualsiasi conforto e contatto emotivo; impotenti e profondamente scossi abbiamo salutato solo col cuore gli amici che andavano via; in silenzio abbiamo assistito alla benedizione di Papa Francesco sulle “fitte tenebre addensate”, in una piazza San Pietro vuota.

Ma chissà, forse questa guerra moderna che ancora stiamo vivendo, non avrà causato solo dolore e distruzione.

Perché per una volta, per un poco, rinchiusi nelle nostre case, abbiamo avuto l’opportunità di riscoprire e di amare, sia pure solo virtualmente, il fascino delle nostre città avvolte nel silenzio, i cieli nuovamente azzurri di metropoli come Pechino o Milano, il mare nuovamente colorato del suo verde smeraldo, gli animali di nuovo padroni dei loro ambienti naturali.

Abbiamo rallentato fino a fermarci. E abbiamo lasciato più spazio alla profondità dei nostri sentimenti.

Perché si può amare stando vicini, ma si può mostrare l’amore anche se si è lontani, anzi questo sentimento può diventare più forte e struggente.

Così, a tratti, abbiamo imparato a non cercare il superfluo, a riassaporare il gusto del “poco”, che spesso coincide con il “giusto”, a vivere in simbiosi con il mondo, a donare un sorriso ai singoli; e in questa inusitata connessione con “l’altro” abbiamo pianto calde lacrime come fossimo noi genitori, fratelli, compagni o figli dei giovani e degli anziani morti da soli in un ospedale lontano; abbiamo ripreso a dedicare il nostro tempo migliore alle persone a noi care; e a pregare che la pandemia non ce le portasse via.

Perché le guerre, forse, come il dolore, sanno dare anche un forte senso di appartenenza, di preghiera, di condivisione, di quella umanità a volte smarrita.

Tutti i conflitti fanno male, ma in fondo “si nasce e si rinasce ad ogni sole, si sa, finché si può fare”, con nuove consapevolezze e un ritrovato senso di responsabilità e anche di rispetto per chi non ce l’ha fatta, per chi ha lottato strenuamente e ancora lo fa, per chi verrà dopo di noi.

Ecco, è dunque questo che dobbiamo ora augurarci: di rinascere con gratitudine ogni giorno senza mai dimenticare, però, le lezioni positive che abbiamo comunque appreso in questo anno terribile.

“Insieme” ogni cosa si può affrontare, sperando poi di poter essere non solo connessi, ma anche tutti più vicini davvero, perché l’uomo è un essere sociale che ha bisogno di stare con gli altri, di confrontarsi, scambiare sguardi, opinioni, gesti.

*Avvocato con la passione per la poesia

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