Vaccini e Campania rossa: è tempo di sveglia e serietà

Forse è tempo, anzi è tempo senza forse, e siamo perfino in ritardo, che i pochissimi ministri del Sud presenti nel governo Draghi, in particolare i due della Campania, Di Maio e Carfagna, diano qualche segno di vita in questa assurda assegnazione delle quote vaccini alle regioni secondo i criteri scriteriati decisi mesi fa dal Trio Conte-Speranza-Arcuri.

È tempo che si facciano sentire, ove occorra battendo i pugni sul tavolo di Palazzo Chigi, per rivendicare il sacrosanto diritto dei cittadini del Sud – della Campania, per quanto più direttamente ci riguarda – d’essere trattati come i cittadini del Centro e del Nord almeno rispetto al rischio di crepare a causa del Covid.

La vicenda è nota, e fino ad ora l’ha denunciata, alzando opportunamente la voce, soltanto De Luca: regioni con popolazione residente di gran lunga minore della Campania hanno ricevuto e continuano a ricevere molte più dosi di vaccino. La spiegazione è solo nella testa dell’ex Trio Conte-Speranza-Arcuri. C’è chi – timidamente, appena con un fil di voce, forse per un rigurgito di pudore – azzarda la solita scusa della Campania regione più giovane. Balle. È la furbesca narrazione equivalente al parametro della “spesa storica” in base al quale si distribuiscono le risorse per la Sanità. Sono decenni che ci fregano, una vergogna nazionale su cui tacciono in troppi.

Qualcuno obietterà: ma il Governo Draghi si è appena insediato, diamogli il tempo di rendersi conto di come stanno le cose. Rilievo inconsistente: Di Maio (da Pomigliano D’Arco) è ministro da quasi tre anni; Speranza (nato e cresciuto a Potenza) da 15 mesi, dunque da prima che arrivasse il Virus; la Carfagna (salernitana con metà sangue irpino) non è atterrata da Marte, era vice Presidente della Camera, per di più è politica attenta e arguta, le bastano 10 minuti a Palazzo Chigi per informarsi meglio e sapere cosa fare.

De Luca attendeva con ansia che Arcuri facesse le valigie. Appena si è insediato il generale Figliuolo, persona assolutamente capace, è tornato alla carica. Ma non basta. È indispensabile che si sveglino i pochissimi ministri del Sud: nel Governo ce ne sono troppi del Nord, quasi il triplo, quindi i “nostri” – oltre a svegliarsi – devono fare i gargarismi, schiarirsi la voce ed alzare il volume.

Draghi è un Gran Signore, ma non può cambiare la legge della giungla in poco tempo. E la giungla politica ha il suo linguaggio: ottieni se ruggisci, i leoni del Nord la sanno lunga in materia.
Oltre tutto, c’è un dato oggettivo che non va sottaciuto: fino ad ora la Campania ha fornito una tra le migliori performance d’Italia per velocità di utilizzazione dei vaccini. Al confronto, la blasonata Lombardia ci ha fatto una figuraccia, idem il Piemonte, e non siamo stati di certo sopravanzati dall’efficientissima Emila Romagna. Una dose di vaccino per ogni cittadino, dunque: almeno in questo, abbiamo tutti il diritto di sentirci italiani con “pari dignità”.

O no, ministri Di Maio, Speranza e Carfagna? O no, Presidente Draghi, senza nemmeno dover ricordare che anche nelle Sue vene scorre sangue irpino, dunque campano, ergo meridionale? Per carità: tanto di rispetto e di affetto per i fratelli concittadini del Nord; lungi da noi anni luce il benché minimo pensiero di riaprire conflitti e antagonismi territoriali, ferite e “questioni” comunque mai rimarginate e risolte. Ma non si può chiedere di essere “concittadini” e “fratelli” a senso unico, figli di un dio maggiore dalle parti di “Su”, e di un dio minore – piccoletto, nano – dalle parti di “Giù”. Un cittadino, un vaccino. Oppure, giocoforza, “A brigante, brigante e mezzo”: non lo diceva un napoletano sfigato e sfaticato, ma l’italianissimo, amatissimo Sandro Pertini, un corregionale serio e saggio di Beppe Grillo, naturalmente corregionale e basta, Uno con tutt’altra Storia.

È forse tempo, anzi è già tempo senza forse, che nella Campania tornata in Zona Rossa si elevi ai massimi livelli il senso della responsabilità istituzionale, da una parte, e sociale dall’altra. Prendiamo l’esempio, invero ripetitivo, del sindaco di Avellino. Venerdì, alla vigilia dell’ordinanza firmata dal ministro della Salute, pur annunciando che avrebbe comunque accettato le misure decise dal governo centrale – come se avesse potuto in qualche modo sottrarsene – è tornato col ritornello di “Avellino che non merita la Zona Rossa”, che “bisognerebbe differenziare tra aree che sono diverse”, che “è auspicabile si dia ai sindaci la competenza in merito”. La solita sortita, insomma, che da una parte contraddice l’opportuno rigore dimostrato con la “sua” chiusura, già da alcune settimane, delle scuole cittadine; dall’altra rassegna alla comunità, indirettamente, un messaggio sbagliato, rilassante, l’esatto opposto di quanto le gravissime circostanze richiedano: le cose ad Avellino vanno bene, l’Arancione è già un colore più che sufficiente, e roba del genere.

Proprio per ribadire che i numeri della Campania – tra decessi, contagi, ricoveri e quant’altro – non consentono leggerezze, l’Unità di crisi regionale ha spiegato ieri attraverso un comunicato che “… l’applicazione di misure rigorose (all’interno della stessa regione, ndr) anche in zone che presentano indici di contagio inferiori ad altre, risponde ad un’azione di utile prevenzione affinché la diffusione sia contrastata prima di interventi che risultino adottati in modo tardivo, anche in ragione della maggiore trasmissibilità delle varianti”.

In atri termini, è l’adozione di una strategia non solo dovuta ma addirittura scontata: chi non se ne rende conto, o ci fa o ci è. Con l’aggravante di non considerare – e siamo al profilo dei comportamenti e delle responsabilità sociali – che l’eccesso di ottimismi nei messaggi istituzionali sortisce l’effetto, ancorché non voluto, di incoraggiare la trasgressione di norme e raccomandazioni quanto mai indispensabili in questa fase recrudescente della pandemia. Gli assembramenti, il rifiuto della mascherina, l’egoistica strafottenza di tanta gente che stupidamente rischia di infettarsi e che, soprattutto, non si fa scrupoli di infettare chi rispetta le regole sopportandone il sacrificio, sono anche il prodotto di comunicazioni ed esempi istituzionali azzardati.

D’altra parte, per tornare in Irpinia, il quadro generale della provincia è tutt’altro che incoraggiante. Al di là del numero dei contagi, risalito ai livelli del periodo peggiore della seconda ondata, l’idea plastica della condizione decisamente allarmante che stiamo vivendo la forniscono i dati del “Moscati”: Covid Hospital pieno, Padiglione Covid del “riunito” Landolfi pieno. E ancora nell’ospedale avellinese: chiusi per l’attività ordinaria ed aperti per il Covid i reparti di Medicina d’Urgenza, Malattie Infettive e Pneumologia, mentre il Pronto Soccorso è nuovamente sovraffollato, le ambulanze ricominciano a sostare in attesa che si liberino i posti per i pazienti che trasportano.

Di tutto ciò, per stare a certe sensibilità istituzionali, pare non rendersi conto nemmeno un altro sindaco “Enjoy the Virus”, quello di Solofra: il quale continua imperterrito a ritenere che il “suo” Landolfi sia il centro della Sanità cosmica; e organizza raccolte di firme per sollecitare punizioni estreme a danno del direttore generale del “Moscati”, reo di concentrare energie e attenzione sulla drammaticità della pandemia e di non dare retta a lui.

Forse è tempo, anzi è tempo senza forse, di recuperare tutti il senso della serietà.

I commenti sono chiusi.