Come i microbi hanno reso la Terra abitabile

– di Michele De Masi –

Oggi vi voglio parlare di un libro che mi ha catturato particolarmente. È di un docente della Rutgers University del New Jersey, Paul G. Falkowski microbiologo e oceanografo. Il titolo: I Motori della Vita, sottotitolo quello in intestazione, ed. Bollati Boringhieri.
Premetto che io sono geologo e insegnante di scienze, in pensione. La mia estrazione culturale, a parte qualche esame di Paleontologia e sui petroli, è prettamente legata al mondo minerale e alla chimica inorganica. Eppure nel corso degli anni, per dovere professionale e per ricerca personale, mi sono più volte avvicinato, venendone attratto, alla chimica organica e in particolare a tutti quegli organismi viventi che popolano questo mondo e che lo rendono unico e meraviglioso. Tra le varie forme di vita, il libro tratta e valorizza – anzi li mette al primo posto – i microbi e la loro importanza nell’ambito della storia evolutiva dei viventi. Questa non è una recensione del libro, anche se, si è capito. il giudizio è decisamente positivo. È, diciamo, un estratto molto succinto (il testo consta di 200 pagine) degli aspetti – li chiamerei spigolature – catturate qua e là in ordine sparso che ho ritenuto più interessanti. Poi chi vorrà approfondirli meglio potrà dedicarsi alla sua gradevolissima lettura che reputo non solo divulgativa ma anche di approfondimento e magari utile per studenti della materia.

I nostri minuscoli protagonisti
Fino a metà del 1600 i modelli naturali studiati trascuravano la vita microbica per due semplici ragioni: non esisteva una documentazione di studio né di fossili nelle rocce né di microrganismi viventi, per chiare difficoltà di visione.
Cinquanta anni dopo la scoperta del cannocchiale, quella del primo microscopio a due lenti consentì al naturalista Robert Hooke l’osservazione diretta dei microorganismi. Questi pubblicò, nel 1665, un libro che divenne in breve tempo un bestseller: Micrographia 1665. Il microscopio era in grado di ingrandire fino a 20 volte facendo scoprire, per la prima volta, l’aspetto di minuscoli organismi. In particolare furono osservate per la prima volta le cellule, unità base di ogni essere vivente. Poco dopo, Delft van Leeuwenhoek, di professione mercante di tessuti, sviluppò un nuovo microscopio che portò gli ingrandimenti da 1 a 400. Soffermò la sua attenzione sui microorganismi scoperti nella bocca, tra i denti e le gengive soprannominandoli “animàlculi”. Si meravigliò alquanto quando scoprì che nella saliva una buona parte di essi moriva dopo aver bevuto il caffè.
La nascita vera e propria della microbiologia si deve, a partire dalla metà del XIX secolo, ad uno scienziato, ex bambino prodigio, ebreo tedesco: Ferdinand J. Cohn. Questi dimostrò che i microbi sono organismi unicellulari e sono dappertutto: nell’acqua, nel suolo, e nell’aria; ricoprivano qualunque superficie e anche spesso il cibo che consumiamo. A differenza dei suoi contemporanei, però, non focalizzò la sua attenzione sul ruolo patogeno dei microbi. Fu un medico di campagna, tedesco, Robert Koch a mettere in relazione queste forme di vita, nel frattempo denominate batteri, con malattie quali colera e tubercolosi. Per queste scoperte ricevette il premio Nobel nel 1905.
Nel 1977, trecento anni dopo la scoperta dei microbi da parte di Leeuwenhoek, Carl Woese e George E. Fox, due biochimici e genetisti dell’Università dell’Illinois, sulla base delle sequenze degli acidi nucleici dei ribosomi, classificarono tutti gli esseri viventi sulla Terra – l’Albero della Vita – ripartendoli in tre gruppi sulla base di una delle loro strutture cellulari. I ribosomi presiedono alla formazione delle proteine e degli acidi nucleici (RNA), all’interno della cellula. In base ad essi i sistemi viventi si suddividono in tre originarie linee di discendenza, gli eubatteri, comprendenti tutti i comuni batteri, gli archeobatteri, che contengono i batteri metanogeni e gli urcarioti mancanti, mancanti della componente citoplasmatica.
Visto che mi ero riproposto di scegliere fior da fiore, con quest’ultimo concetto devo essere incappato in una spina e magari qualcuno si è punto. Prometto che non lo farò più, d’ora in avanti, mantenendo sempre il livello dello “spieghiamolo semplice”.
I ribosomi – palline del diametro di un milionesimo di millimetro – sono alcune delle particelle indispensabili in ogni cellula vivente – così come i mitocondri deputati alla respirazione cellulare ed alla produzione di energia – sono sparsi nelle cellule. L’autore li chiama nanomacchine e la loro funzione e attività, come all’interno di un’automobile, è svolgere tutta una serie di trasformazioni chimiche che organizzano in un grande traffico elettronico tra le cariche positive (protoni) e negative (elettroni) degli atomi coinvolti. Il cap. 4 spiega queste operazioni molto bene, che richiedono una attenzione ed un approfondimento particolari che esulano dallo scopo dell’articolo.

Prime forme di vita sulla Terra
Ma quando è nato il mondo e la vita su di esso ?
Per la Terra, su ogni testo di scienze si legge 4 miliardi e mezzo di anni fa. Ebbene il libro riporta una esperienza chiarificatrice. Nel 1953 Clair Patterson, all’epoca un chimico trentanovenne californiano, misurò gli isotopi del piombo presenti nel meteorite Canyon Diablo schiantatosi al suolo a nord dell’Arizona 50000 anni prima. L’età dei meteoriti dovrebbe, grosso modo, corrispondere a quella della superficie solida terrestre. Sulla scorta di scrupolose analisi calcolò che l’età della Terra è pari a 4,55 miliardi di anni, una stima che ha resistito alla prova del tempo.
Gli isotopi sono elementi chimici che col tempo si trasformano attraverso un fenomeno chiamato decadimento radioattivo. Per datare ogni tipo di reperto si utilizzano in genere, quelli del carbonio per le sostanze organiche e dell’uranio per quelle minerali.
Le rocce di Isua, in Groenlandia, sono tra le rocce più antiche, risalgono a 3,8 miliardi di anni fa. In queste è stata trovata della grafite, un tipo di carbonio. La presenza di abbondanti isotopi lascia supporre la presenza di antichi microbi fotosintetici. Ma queste rocce sono state fortemente alterate da calore e pressione per ricavarne una risposta definitiva.
Le rocce presenti in alcuni siti dell’Australia occidentale, risalenti a 2,6 miliardi di anni fa, mostrano la presenza chiara e visibile di fossili. Nel caso di microrganismi le tracce che si conservano meglio sono quelle dei lipidi, i grassi che compongono le membrane cellulari.
Queste tracce denunciano la presenza inequivocabile di un ricco mondo microbico negli oceani di quelle ere lontane.
Ma come si sono formati questi primi organismi viventi?
Darwin, dieci anni dopo aver scritto l’Origine della Specie, in una lettera ad un amico, J. Hooker nel 1871 scriveva: “Se potessimo concepire in un piccolo e caldo stagno, la presenza di sali di ammonio, di fosforo, di luce, calore, elettricità ecc. si potrebbe formare un composto proteico pronto a subire cambiamenti ancora più complessi; questo deve essere avvenuto prima che si formassero le creature viventi”.
Ottant’anni dopo un chimico americano, Stanley Miller e il suo professore Harold Urey riuscirono a sintetizzare il primo amminoacido in un laboratorio dell’Università di Chicago. I due usarono gas di ammoniaca, metano, idrogeno e acqua e si servirono di elettrodi per simulare l’effetto di un fulmine. Che sia nata così la vita? Non è sicuramente la spiegazione risolutiva, ma certo costituiva un primo passo.
La storia evolutiva che prese le mosse dai microbi risale così a tantissimo tempo fa.
Oggi sappiamo che l’ossigeno è prodotto principalmente dagli organismi fotosintetici come piante e il fitoplancton del mare. Il processo fotosintetico ha del magico, si serve dell’anidride carbonica dell’aria e dell’acqua e insieme al contributo dei fotoni, presenti nella luce solare, produce molecole di zucchero e ossigeno.
Ma l’ossigeno sulla Terra quando ha cominciato a prodursi?
Per scoprirlo dobbiamo spostarci sul Mar Nero. L’autore Falkowski ha studiato, con una spedizione oceanografica, per anni le sue acque. Le acque del Mar Nero al di sotto dei 150 metri di profondità sono del tutto prive di ossigeno. La ricerca consisteva nello studio dei batteri fotosintetici trovati subito al di sotto dei 150 metri di profondità; cioè organismi capaci di vivere in un ambiente quasi completamente anaerobico, così come doveva essere l’atmosfera primordiale prima che si ossigenasse. Questi batteri sono i discendenti dei cianobatteri che all’incirca 2,4 miliardi di anni fa hanno dato origine alla produzione dell’ossigeno dell’aria ricavandola dalla scissione dell’acqua. Quel periodo viene denominato dagli scienziati come il Grande Evento Ossidativo. Da allora è andato a incrementarsi senza più fermarsi.
Il libro passa poi all’evoluzione genetica di questi microrganismi, alla eredità genetica tramandatasi nelle varie successioni dei batteri. Questa avviene attraverso due tipi di trasmissione, quella verticale passando da una generazione all’altra e quella per trasferimento genetico orizzontale. Curioso scoprire come tra i più comuni trasmettitori di geni tra un batterio e l’altro contribuiscano anche i virus. Un’altra modalità è quella di coniugazione nella quale – come le altre modalità – si scambiano il DNA aderendo l’uno all’altro e formando un ponte tra le cellule. Ancora un’altra è quella che prende il nome di trasformazione, ed è di una semplicità disarmante: i geni (o il DNA) vengono direttamente prelevati dall’ambiente.

Compagni di cell(ul)a
I microbi non vivono in isolamento. Per gran parte sono simbionti, ossia vivono assieme e dipendono l’uno dall’altro; più nello specifico, i microbi usano i prodotti di scarto altrui per sopravvivere.
Per ridurre al minimo l’energia consumata nell’acquisizione dei nutrienti, in natura i microbi tendono a formare comunità nelle quali, per fare un esempio, lo zucchero secreto da un organismo viene consumato da un altro organismo, mentre quello che riceve lo zucchero fornisce amminoacidi agli altri elementi della comunità. Se ne deduce che, al pari di noi esseri umani, in linea di massima, i microbi sono organismi sociali. La prima regola all’interno di un consorzio microbico è che nessun membro può escludere tutti gli altri. Se venisse violata questa regola il consorzio collasserebbe.
Il numero totale di microbi presenti ad esempio nel nostro intestino, è una comunità talmente vasta che supera di dieci volte quello delle cellule del corpo.
Questo consorzio ci aiuta ad acquisire nutrienti dal cibo che mangiamo, favorendo la scissione dei grassi e carboidrati complessi, e impedendo inoltre ai microbi “cattivi” di crescere e di farci ammalare.
I consorzi microbici sono importantissimi per la natura in generale perché fissano l’azoto, producono ossigeno, ma anche anidride carbonica, metano, anidride solforosa, acido solfidrico e tante altre sostanze.

Misure extralarge nel paese delle meraviglie
Con questo titolo il libro sviluppa un intero capitolo sul come i microbi (organismi unicellulari) si siano assemblati e poi trasformati in organismi macroscopici sempre più complessi, come gli animali e le piante che popolano il pianeta.
Il salto temporale è notevole. Per le prime tracce fossili di batteri si parla di miliardi di anni, le prime tracce di vita pluricellulare risalgono invece a circa 580 milioni di anni fa. Queste prime forme di vita erano composte da corpi molli e abitavano gli oceani. Un fossile di Dickinsonia, animale marino estinto rinvenuto presso le colline di Ediacara nell’Australia del Sud, proprio di questo periodo, è servito agli scienziati per fissare una possibile data iniziale.
Nessuno sa con certezza quale fosse la concentrazione di ossigeno quando gli animali cominciarono ad evolversi , ma le stime più accurate parlano di una percentuale compresa tra l’1% e il 5% del volume atmosferico; oggi invece è del 21%.
L’aumento della concentrazione di ossigeno è stata, probabilmente la causa di aggregazione tra gli organismi unicellulari. L’aggregazione, però, richiedeva una qualche forma di adesione tra le cellule, un collante intracellulare. Questo deve essere stato il meccanismo necessario ai fini dell’evoluzione degli animali pluricellulari. La funzione adesiva fu espletata da un connubio tra due tipi di proteine – i collageni e le integrine – poi diventate onnipresenti negli animali. Queste due proteine funzionano, per fare un esempio pratico, come una resina epossidica: cementano le cellule e connettono molti prodotti cellulari come denti, ossa, gusci.
Spugne e meduse devono essere state tra le prime manifestazioni viventi di questi legami.
Via via che gli animali si evolvevano, i collanti molecolari acquisirono importanza sempre maggiore favorendo lo sviluppo di piani strutturali sempre più complessi. A prescindere dal ruolo svolto dalle cellule in qualunque organismo vivente, ognuna di esse conserva un nucleo di materiale genetico identico. Fermo restando questo, col tempo il processo di differenziazione ha permesso alle cellule di specializzarsi in cellule nervose, ossee, epiteliali, digestive e così via per le altre.

Dal mare alla terraferma
Stando alle attuali conoscenze, l’evoluzione degli animali precedette quella delle piante di qualche centinaio di milioni di anni. Le piante terrestri derivano da un singolo gruppo di alghe verdi e cominciarono a colonizzare la Terra intorno ai 450 milioni di anni fa. Come gli animali, anche le piante svilupparono un collante che permetteva alle cellule di stare attaccate le une alle altre, con la differenza che il materiale era formato da un polimero di zuccheri, la cellulosa.
Si stima che con la comparsa e la successiva morte delle grandi piante terrestri – le felci giganti del carbonifero, ad esempio ¬– 350 milioni di anni fa, la concentrazione di ossigeno nell’atmosfera fosse di circa tra il 30 e il 70% superiore ai livelli attuali.
La accresciuta concentrazione di ossigeno nell’atmosfera causò la migrazione degli animali dal mare alla terra. Prima i vermi, poi i crostacei, le chiocciole e infine i vertebrati si radunarono in massa sulla terraferma, colonizzandola.
Risalgono a questo periodo delle libellule con un’apertura alare di mezzo metro: insetti del genere non potevano esistere se non in presenza di altissime concentrazioni di ossigeno.
I più antichi “pesci terrestri” aprirono la via ad anfibi e rettili, e molto più tardi ai dinosauri agli uccelli e in ultimo ai mammiferi.
Ora mi fermo, anzi temo di essermi dilungato anche oltre il lecito… nel senso della attenzione del lettore. Una regola, comune a noi insegnanti, è che, nelle spiegazioni in classe, guai ad andare oltre i venti minuti, massimo mezz’ora: l’alunno t’abbandona e bye bye attenzione. Dico solo che manca tanta altra roba interessante, che chi deciderà di leggere il libro scoprirà. di sicuro con piacere.
Alla prossima

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