A cuore nudo nel parco

– Di Anna Carmen Lo Calzo –

“Non ti ascolterò mai Beatrice! Sbrigati, mettiti la mascherina, il virus è dappertutto! Lo ha detto il nonno.”
Bimbo di quattro anni alla sorellina.

“Oye como và, mi ritmo!”.
Giovane uomo peruviano con cuffie.

“E anche questa volta salta il pesce fresco. Troppo caro, non lavoro da tre mesi e non ho sostegni. Vada per la scatoletta di tonno!”.
Quarantenne ad una signora anziana.

“Mio marito non alza un dito da quando lavora in smartworking. Sembra un robot. Mio figlio si chiude in camera come se fosse in quarantena. Il cane è la mia unica fonte di speranza”.
Moglie e madre ad un’amica.

“La mamma è tornata dall’ ospedale che non si reggeva in piedi. Domani mi vaccinano il papà, 91 anni, non so come abbia fatto a non ammalarsi con la mamma positiva in casa.”
Donna di mezza età ad un signore con cane.

“Hai sentito che alcune varianti del virus attaccano anche topi e gatti? Se lo scopre mia madre sono rovinato, mi sopprime insieme al gatto che non ha mai voluto!”.
Teenager a teenager.

“Franco, ti prego, rilassati. Abbiamo in casa una quantità di cibo modello bunker antiatomico. Siamo ipernutriti. Smetti di pensare al cibo e leggiti un libro. Anche questa sarebbe una attività consentita dal lockdown”.
Pensionata al marito.

“Io me ne frego, faccio entrare le mie clienti dal retro del negozio e la ragazza continua a lavorare. Tagli e pieghe veloci, io rimango di guardia fuori. Se arrivano i vigili siamo rovinati, ma non ce la facciamo più a stare chiusi. Se andiamo avanti così dobbiamo venderci la casa.”
Parrucchiere a collega.

Sono al parco, come quasi ogni giorno, prima o dopo le mie attività quotidiane.
Il parco è diventato il rifugio dal rifugio, dal lockdown, quel luogo escluso dalle restrizioni, che permette di incontrarsi. Una immensa stanza con gli alberi al posto delle pareti e le panchine al posto delle poltrone degli psicoterapeuti. La gente ci va per correre, camminare, cantare, ma anche per liberarsi dalle tensioni e dalle ansie. Per parlare, per fare terapia di coppia, per confrontarsi, per raccontare disagi e paradossi di una vita stravolta dalla pandemia.
Gli immensi alberi sembrano sostituire i terapeuti: osservano e ascoltano senza giudicare. I cani si rincorrono, si abbracciano, si baciano, giocano in gruppi assembrati e ci ricordano che tutto questo in natura esiste.
Capto, intercetto, riporto ciò che le persone sfogano mentre cercano un senso a tutto l’incomprensibile. Sono frasi rubate, pensieri autentici, uno spaccato di società. Il parco è diventato un osservatorio interessante, insolito, pieno di storie da ricostruire. Spunti di vita che danno la possibilità di immaginare le dinamiche degli altri, di confrontarle con le proprie, di non sentirsi troppo soli in questo disagio collettivo che sembra superato, ma che non lo è.
Mi siedo accanto a due giovani liceali.

“Io da quando sono in dad non leggo più. La prof. continua a dirci di perseverare perché al liceo classico i libri si devono divorare. Ma sa benissimo che in queste condizioni ci sta perdendo. Non ho stimoli, ho bisogno della sua presenza per crederci. Ho bisogno di essere tenuto lì dalla sua voce che narra, che rimbalza sui muri della classe al ritmo dei suoi tacchi. Ho bisogno dei suoi occhi che indagano tra i nostri. Mi mancano i dettagli, i dubbi, gli spunti che nascono dal mio compagno di banco, le intuizioni che scaturiscono dal confronto reale, umano, oltre che didattico. Le lezioni in presenza sono minuti preziosi, ore che rimpiangeremo per sempre, che ci nutrivano di motivazione, di passione, di senso critico per la realtà e per la vita. Sono disorientato Carlo, non so tu. La dad mi sta alienando. Vaccinateci, fate presto”.

Domani tornerò al parco. Sento di avere voglia di ascoltare ancora i pensieri sparsi e disordinati della gente per continuare a nutrire il mio cuore e il mio bisogno di comprensione di questo momento sospeso che ci nega l’essenziale e le pulsioni primordiali.
Fate presto!

Io

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