La vita in maschera

– Di Anna Carmen Lo Calzo –

Il termine “maschera” ha sempre suscitato in me un senso di turbamento misto a intrigo e mistero, ma allo stesso tempo mi ha anche trasmesso un senso di libertà. La sensazione di poter essere qualcun altro, di sognare, giocare, mistificare, trasformarmi per guardare il mondo di nascosto.

La maschera mi riporta anche indietro nel tempo, mi rimanda ad affascinanti riti preistorici, greco-romani e medievali, alla simbologia religiosa. L’evoluzione della maschera nei secoli è passata attraverso il teatro, il misticismo, la spiritualità, i riti guerrieri, le pratiche funerarie, ma anche quelle goliardiche e festose. Uno strumento carico di significati e di messaggi subliminali con i quali l’Uomo si è sentito trasformato, posseduto da una divinità, e ha compiuto un viaggio a volte senza ritorno. Dal gioco allo strumento legato alla festività, alla finzione, alla psicanalisi, alla metafora della personalità, la maschera è stata scandagliata dalla letteratura, dal teatro, diventando una componente costante dell’evoluzione dell’Uomo.

Ma da più di un anno a questa parte, la parola “maschera” non ha niente a che vedere con la libertà, con il fascino, con la metafora e con il sogno. E’ qualcosa di più simile alla “maschera dello speziale”, quella utilizzata dai medici di Venezia, nel medioevo, durante la pestilenza, per proteggersi dal contagio e dall’odore della morte. Le spezie che le riempivano, oltre a proteggerli, davano loro sollievo fisico e mentale. Chissà se qualche spezia potrebbe servire a riempire le nostre maschere anti Covid-19 e a darci consolazione sensoriale, oltre che protezione, in questa guerra virale mondiale senza precedenti.

Ho chiesto ad Andrea, attore di teatro, cosa significa per lui indossare ogni giorno una maschera che, anziché servirgli per salire sul palco, gli ricorda spietatamente che non si lavora perché c’è la pandemia e il sipario è ancora abbassato. Speriamo per poco. “L’unico modo per sopravvivere è continuare a nutrirmi di letteratura, di poesia, di cinema, di arte, di studio, di idee partorite in questi mesi di chiusura, disagio, alienazione. I lockdown, le distanze, la solitudine, la crisi delle finanze, non sono riusciti a sopraffare i miei sogni, le mie visioni, le mie passioni. Ogni tanto devo ricordarmi che la mascherina chirurgica non serve a recitare la parte del dottore, ma a salvarmi la vita. E questo mi deve bastare. Questa maschera mi tappa la bocca, ma non l’anima. Ci ha omologati fuori, ma sono sicuro che ciascuno di noi dentro di sé sta maturando progetti, sta lottando in privato, in silenzio, senza luci e senza applausi, per realizzare qualcosa di nuovo. E questo vale per tutti, non solo per gli attori. Chi possiede passione, entusiasmo, creatività, voglia di vivere e di mettersi in gioco, non potrà soccombere sotto una maschera che protegge l’umanità sospendendola da ogni azione. Chissà cosa sta pensando di noi Pirandello in questo momento. Se fosse qui, il suo genio ci delizierebbe di pensieri, parole, analisi, suggerimenti e intuizioni raffinatissime! Il giorno in cui si rialzeranno i sipari e le saracinesche, ciascuno di noi tornerà ad indossare le infinite maschere della vita, quelle che ci rendono “uno, nessuno, centomila”. Non appena i nostri corpi vaccinati riprenderanno a fare, viaggiare, incontrarsi, ballare, amare, lavorare, esprimersi in mille piccole e grandi azioni quotidiane, torneremo ad indossare le maschere del “gioco delle parti”, a rincorrerci, a nasconderci, a raccontarcela, ad affannarci tra finzione e realtà. Speriamo che la sconfitta del virus non sia un’illusione e che ciascuno di noi possa ritrovare un ruolo, possibilmente senza maschera, e senza dover soffrire ancora troppo.

Caro Pirandello, non sai cosa ti stai perdendo”.

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