Arabeschi di sogni

Ho cercato la carezza della tua voce e l’ho udita
trasalendo cento e cento volte
nel mormorio del vento
tra le alte cime dei pioppi
cresciuti in riva al lago,
tra i merli della torre antica
che sovrasta un castello di fiaba,
nel richiamo degli uccelli notturni
nascosti nel folto della foresta,
nell’underground oscuro ed ambiguo
che attraversa lancinante
le viscere della città.
E ho confidato i miei segreti
ad un gabbiano paziente
appollaiato sulla prua della nave
che lenta solcava
il grigio di un mare senza stagioni.

Ascolta: nel verde intenso del parco
– metafore di sogni –
i merletti di marmo bianco
dell’abbazia gotica in rovina
disegnavano insoliti arabeschi
al chiarore dorato del tramonto…
Un pavone razzolava tra le sacre vestigia
rivestito di splendidi colori:
visione onirica, danzante
come di solitario ieratico ministro
officiante i vespri solenni.

Avresti amato anche tu
quell’aria sospesa tra cielo e mare,
quel letto d’erba sottile compatta
sulla scogliera deserta
a strapiombo sul perenne ruggito delle onde,
tra lo stridere degli uccelli marini.
Tu che hai saputo scoprire l’ultima rosa nata in autunno
– sola ed altera – da una madre piena di spine.
Tu che hai mani per cogliere il frutto più alto
dolce del sole di una lunga estate
lasciato sull’albero al vento d’autunno
da chi non poteva raggiungerlo.

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