Fuksas e nuovo Stadio Partenio: i due Pd che fanno danni alla città e all’Irpinia

A scanso di equivoci, è bene chiarire ancora una volta il concetto. Il Partito Democratico irpino è liberissimo di dividersi, guerreggiare, scannarsi e perfino suicidarsi come meglio crede. È un affare dei suoi dirigenti, gruppi di potere, portaborse ed anche – non ultimi – degli iscritti e simpatizzanti che non protestano, sono assenti, anzi indifferenti, davanti ad uno spettacolo che si sta replicando da oltre tre anni senza pudore.
Se torniamo sull’argomento è perché, al fondo delle cose, il problema che interessa alla comunità irpina non è il Pd in quanto tale – ossia con le sue impolitiche sceneggiate interne – ma piuttosto i danni che un Pd così malmesso induce sul governo delle istituzioni locali, quindi dei servizi e dei processi di sviluppo territoriale.
Ciò che sta accadendo nella vicenda politico-amministrativa del Comune capoluogo ben riassume la capacità distruttiva delle due anime – ma più correttamente bisognerebbe chiamarle due partiti nel partito – in perenne conflitto del Pd irpino. È immediata, attraverso due casi di attuale ribalta cronachistica, l’esemplificazione dei danni che la pessima politica del Partito Democratico pateticamente belligerante sta causando agli interessi oggettivi della comunità avellinese e, per estensione, dell’intera provincia. Sono il caso Fuksas e il caso Project Financing Nuovo Stadio Partenio.

1) L’incarico progettuale per il recupero della Dogana all’Archistar di ottima fama internazionale è diventato argomento e pasto ingordo di tifoserie social, forse scientificamente organizzate, dopo essere finito sotto le lenti dell’Anticorruzione per sospetti profili di legittimità. Il nome di Fuksas – scelta d’indubitabile spessore – è finito nel tritacarne delle polemiche per errore esclusivo del sindaco. La norma, infatti, prevede che la nomina del tecnico “deve” avvenire selezionando tra non meno di cinque candidature. Il capo dell’Amministrazione ha ritenuto di saltare questo passaggio, invocando il principio della “unicità” dell’opera interessata al recupero: condizione che la lettura attenta della norma parrebbe di escludere, almeno secondo la posizione ufficiale dell’Ordine irpino e nazionale degli Architetti.
A monte, tuttavia, c’è il rilievo di procedura politica adottata dal sindaco. La Dogana è tema sensibile ad Avellino. Da anni, per sollecitarne il recupero, è stato costituito un comitato cittadino, le battaglie coraggiose e propositive da esso condotte non si contano. Non ci fossero state decine e decine di iniziative a sostegno, oltre al vergognoso abbandono in cui il “monumento” è finito, se ne sarebbe persa anche la memoria, che è memoria artistica e più generalmente culturale del capoluogo. Rispetto a questa “storia” della città, saltando a piè pari procedure di legge e di elementare etica istituzionale, il nome di Fuksas è stato svelato alla città attraverso una diretta Facebook, all’insaputa del Consiglio comunale e, secondo i beninformati, all’insaputa degli stessi assessori.
Si chiederà: cosa c’entrano i due Pd in tutto ciò? C’entrano, eccome! Maggioranza e stragrande parte dell’opposizione al Comune di Avellino fanno capo alle due fazioni dem in guerra. Quale occasione migliore della clamorosa gaffe-abuso del sindaco per armare la mano del gruppo avversario Pd fino alla segnalazione del caso all’Anticorruzione? Detto fatto. Le procedure si bloccano, richiesta di chiarimenti, l’Ordine degli architetti strigliato violentemente dal sindaco, replica con minaccia di carta bollata, il capo dem dell’opposizione a testa bassa contro i metodi illegittimi del primo cittadino, Fuksas che rinuncia ad un incarico peraltro non ancora formalizzato, il sindaco che si rivolge direttamente al “popolo sovrano” per essere sostenuto tout court agitando fantasmi complottisti contro la città, i social che si scatenano arrogandosi il diritto di funzioni legislative e, in subordine, di calpestare le norme vigenti.
Su questa scena irrompe, candidamente, la vicesindaca Laura Nargi. La quale banalizza la vicenda Fuksas spiegandola con il “clima ostile” creato ad arte contro l’Amministrazione comunale: come se il guaio non l’avesse fatto il sindaco ma i suoi avversari, l’Ordine degli Architetti, il comitato “Salviamo la Dogana”, naturalmente la quasi totalità dei giornalisti che fanno il loro mestiere facendo scivolare nella spazzatura, ossia dove meritano di finire, le invettive di un sindaco che ritiene ancora vivo e operante il Minculpop.
Morale della favola: non ci fosse stato il perpetuo duello al calor bianco tra le due fazioni dem, con ogni probabilità il problema si sarebbe potuto risolvere civilmente sul piano politico, non si sarebbe arrivati al punto in cui siamo tra carta bollata, intervento dell’Anticorruzione, spreco di tempo e procedure da riavviare con la speranza che Fuksas ci ripensi. Insomma, Lorsignori si “divertono” a scannarsi, Avellino paga. Ecco un primo esempio dei danni che i due Pd fanno alla città.

2) Il secondo è infinitamente più grave. E qui, nella guerra tra i due Pd, non è difficile individuare nel Pd dell’opposizione in Consiglio comunale tutte le responsabilità dell’eventuale, enorme danno che si potrebbe arrecare, non solo al capoluogo, ma all’intera provincia, se si dovesse perseverare in comportamenti pregiudizialmente distruttivi. Vediamo come stanno le cose.
Il Patron dell’Avellino Calcio, Angelo Antonio D’Agostino, è un imprenditore di successo. Oggi è tra i Capitani emergenti in Italia. I beninformati raccontano di un portafoglio consolidato di commesse che si aggira intorno agli 800 milioni di euro: pochissima roba in Irpinia, la quasi totalità nel resto della Penisola.
Egli ha una passione antica per il Pallone. Prima di decidersi ad acquistare l’Avellino ci ha pensato e ripensato a lungo. Non perché non sia veloce nelle decisioni. Tutt’altro. Il motivo è diverso: quando imbocca una strada, lo fa per raggiungere la meta più ambita, ragionando a 360 gradi, calcolando il rischio con il dovuto rigore. È un dato caratteriale: non si accontenta della sufficienza, o è ottimo o niente. Nella fattispecie, o è serie A, naturalmente con il minimo tempo che occorre, oppure l’Avellino in C se lo tengano gli altri.
È fatto così nell’impresa, nello sport e in politica. È stato deputato cinque anni: un tempo utile per acquisire un’esperienza che ha affinato il suo profilo di operatore pubblico, la capacità relazionale, il pragmatismo dentro le regole del sistema democratico. Nel 2018 lo tsunami 5Stelle ha interrotto un percorso che avrebbe voluto seguire ancora. All’indomani della débâcle generale ad opera dei grillini, gli offrirono da più versanti la candidatura al Consiglio regionale. Disse no: o tutto o niente, o il Parlamento oppure in Regione ci vadano altri. Ancora qui, questione di carattere.
Il Project financing per il nuovo stadio di Avellino e complesso polifunzionale annesso, dunque. Breve sintesi. D’Agostino vuole investirci 60 milioni di euro con un mutuo contratto con il Credito Sportivo. Un’opera che ben gestita porterà utili a lui, ma soprattutto un gran salto di qualità ad Avellino, sia in termini economici e sociali che di prestigio. Il progetto è stato molto apprezzato dai vertici della Lega Pro. Soprattutto ha acceso l’entusiasmo del capoluogo e di tutta l’Irpinia, anche perché l’iniziativa imprenditoriale cammina di pari passo con quella sportiva: entro i prossimi tre anni, il programma di D’Agostino prevede la realizzazione della nuova struttura e l’Avellino in serie A. Chi conosce il personaggio scommette che si tratta di un obiettivo alla sua portata. È una scommessa non giocata sul desiderio, bensì su ragionamenti che filano a perfezione: consistenza economico-finanziaria dell’imprenditore, calcolo delle utilità, voglia di ben figurare nella propria terra, obiettivo di nuove gratificazioni politiche, una personalità vocata alle sfide difficili.
Ora, di fronte ad una prospettiva del genere, dove il “socio” naturale dell’insieme di queste imprese è idealmente e fattualmente la comunità irpina, non si dovrebbe trovare nessuno indisponibile a condividerne il percorso, fatta eccezione – va da sé – dello scemo del villaggio.
Ed eccoci al punto. Ancora in questo caso, la parte dello scemo del villaggio la interpreta – cinicamente e, insieme, pateticamente – la cattiva politica, nella fattispecie la pessima politica dei due Partiti Democratici in guerra, vogliosi di scannarsi, di suicidarsi, noncuranti di far danni ingenti e irrecuperabili alla città capoluogo e all’intera provincia. E vediamo, in conclusione, perché.
D’Agostino, che non è iscritto al Pd, ha un problema. Il suo problema è di essere alleato politico di Festa e di Petitto, non da quando il primo è sindaco di Avellino e il secondo è consigliere regionale, ma da molto prima che questi venissero eletti. Una posizione, la sua, più che legittima e che in nessun modo può configurare conflitti d’interessi circa il succitato Project financing.
Ma non la pensano così alcuni rappresentanti dell’altro Pd, a cominciare dal candidato sindaco sconfitto Cipriano, sempre e soltanto per la stessa ragione: è sbagliato per principio (per partito, preso, è il caso di dire!) tutto ciò che direttamente o indirettamente si fa nell’altra “metà campo” dem. Si trattasse pure, com’è in questo caso, di realizzare un Grande Progetto finalizzato a due obiettivi di forte valenza sociale: riportare l’Avellino Calcio in serie A, dare al capoluogo e alla provincia una struttura sportiva e polifunzionale moderna e prestigiosa, per di più in grado di creare economia. Vi pare poco, specie in questa fase di congiuntura devastante in cui bisogna cercare con il lumicino qualche imprenditore coraggioso e lungimirante che ha voglia di investire?
Ma tant’è! La scena del teatrino politico avellinese è ormai talmente inquinata dai personalismi, dall’odio, dalle beghe, da indurre a comportamenti mediocri e distanti anni luce dal bene comune anche le intelligenze ben attrezzate per poter guardare oltre il naso. Un disastro!

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