LE VACANZE: UN GIORNO IO VERRÒ

Le vacanze, il tempo libero, il riposo fisico e quello interiore sono sempre stati, già nella propria immaginazione, la più ambìta chimera dell’uomo di ogni tempo.

Apprendiamo, infatti, da Seneca (“La brevità della vita”) che persino il divo Augusto, cui gli dei furono più generosi che ad alcun altro (“plura quam ulli praestiterunt”), non cessò di augurarsi il riposo e di chiedere l’esonero dalla vita pubblica, tanto che in ogni suo discorso ricadeva sempre nella speranza del tempo libero, alleviando così le sue fatiche col pensiero.

Osserva quel grande filosofo (4 a.C.- 65 d.C.) che a quell’imperatore così grande cosa gli sembrava il tempo libero che, non potendo goderne di fatto, l’anticipava col pensiero; che vedeva tutto dipendere da lui solo, che dispensava la fortuna agli uomini e ai popoli, era felice soprattutto pensando al giorno in cui avrebbe deposto la sua grandezza. Egli, quindi, desiderava il tempo libero ed in questa speranza e in questo pensiero si acquetavano le sue fatiche, questo era il voto di chi poteva esaudire i voti altrui (“hoc votum erat eius, qui voti compotes facere poterat”).

E dice di Cicerone che, coinvolto e travolto da tante vìcende, quante volte maledice quel suo consolato, lodato non senza ragione ma senza fine! (“quotiens illum ipsum consulatum suum non sine causa sed sine fine laudatum detestatur!”).

E parimenti racconta che Livio Druso, tribuno nel 91 a.C., associato alla politica di Gracchi, maledicendo la sua vita senza pace, lamentava che a lui solo neppure da piccolo erano toccate vacanze (“uni sibi ne puero quidam umquam ferais contigisse”).

Sono “volati” da allora più di duemila anni, ma questo rammarico del poter godere delle vacanze è pervenuto quasi immutato fino ai nostri tempi, nei quali ognuno di noi è capace di vivere per un intero anno soltanto in vista delle sospirate ferie, anche se brevi ma da godere per diritto, ad ogni costo.

E quale sarà mai il modo di celebrazione di questo ricorrente rito?

Non bisogna però credere che esso sia stato sempre così completo e satisfattivo.

Certamente, nell’immediato dopoguerra dei nostalgici anni cinquanta, magari trascorsi in cerca di qualcuno, a causa delle generali ristrettezze economiche soltanto poche famiglie, guardate con invidia, potevano permettersi di attuare, magari ad Amalfi o in altre località altrettanto incantevoli, una vera e propria “villeggiatura”. In tale epoca ormai lontana, le spiagge erano ancora semideserte, poiché ancora non era suonata la carica di “tutti al mare”!, né si cantava già la promessa di “non cambiare”, neppure per l’anno successivo.

Quel “sapore di sale” anche un po’ peccaminoso, soltanto in un secondo momento sarebbe divenuto un chiaro sintomo di conquistato benessere, sia pur sempre col rammarico di un’estate che poi sarebbe andata anch’essa finendo.

Nei più remoti anni – ricordo – c’era a volte una sola vacanza sostitutiva ed economica, tutta fatta in casa e per pochi ragazzi coraggiosi. Consisteva nel fugace bagno al cosiddetto “camasso”, nient’altro che una diga nel fiume realizzata dove il letto era più stretto, con pali e fogliame, dai contadini rivieraschi; i quali, per poter irrigare i propri fondi durante il caldo estivo, frenavano il corso provocando un notevole innalzamento del livello dell’acqua sino alla sommità delle sponde. Ne risultava un luogo irreale, silenzioso come un lago e profondo a ricordo del mare, che dava il brivido ma consentiva un rischioso e breve bagno, da effettuare con l’accorgimento di mantenersi, a nuoto, in superficie, per evitare il pericolo di una non risalita dal fondo divenuto melmoso, e di adottare “vie naturali”, per non dover rientrare a casa con biancheria bagnata.

Era poca cosa, ma rimane impressa nella memoria, quanto più il tempo passa.

Ma presto, con il sopravvenuto benessere economico, vero o apparente, prese il sopravvento definitivo la “vacanza di massa”; in omaggio alla quale, sia per i più facoltosi che per i meno fortunati, ci si deve comunque adattare a minori comodità rispetto a quelle usuali domestiche, pur di poter poi rievocare quelle “tre settimane” da raccontare tornando dal mare o dalla montagna e vissute in modo insolito e con ìl pensiero, puntualmente irrealizzato, di ci sa quali avventurose novità ma pur sempre soddisfatti di quel breve cambiamento di vita, sufficiente per sentirsi appagati.

È proprio vero che la felicità è soltanto o principalmente un semplice stati psicologico, che è bello rivivere almeno “semel in anno” come magico strumento di evasione dal quotidiano e di illusione, piacevoli principalmente nell’attesa.

È noto, infatti, che l’aspettativa del dì di festa è sempre più lieta della festa medesima.

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