ATRIPALDA – IL SACRIFICIO DI PERSONE E COSE

(F.G.) Con l’inizio di agosto, anche le rubriche tradizionali “vanno in vacanza”.

Ma Gabriele Meoli non ci lascia soli ed ha pensato ad una nuova rubrica, con pubblicazioni ogni martedì, dedicata alla “sua Atripalda”, perché, come spesso dice, “Atripalda può custodire tutta la nostra vita, anche da lontano. Amo perciò quei pochi atripaldesi superstiti che ne scrivono i ricordi che sono anche miei”.

Il titolo della rubrica è “Paese mio”.

Gabriele racconterà di Atripalda, ma ciascuno di noi può farlo per il proprio Paese.

Non sapremo mai dove la vita ci porterà, ma sappiamo con certezza da dove siamo partiti.

Buona lettura.

 

di Gabriele Meoli

Pur nella nebbia di tempi ormai troppo lontani, permane in frammenti, in me giovanissimo all’epoca, il ricordo di alcuni gravi momenti vissuti dalla piccola comunità di Atripalda, che sul finire del secondo conflitto mondiale, negli anni quaranta dello scorso secolo, dovette tuttavia pagare ancora un tributo al dolore dell’intera nazione sconfitta.

All’alba di un pallido mattino, un’imprevista bomba cadde sull’abitato e rapì nel sonno la vita di una giovane fanciulla, lasciando tutti nell’incredulità e nello sgomento.

Successivamente gran parte della popolazione, per sfuggire allo scambio di cannonate dalle vicine colline tra le truppe liberatrici e quelle in ritirata, fu costretta a lasciare le proprie abitazioni e ripararsi sotto una confinante galleria ferroviaria, colà vivendo in un’impossibile ed insofferente coabitazione; durante la quale ci giunse notizia che un’altra giovane, uscita allo scoperto per attingere acqua, era stata trafitta ad uccisa da una granata, invano soccorsa da un prelato (destinato poi ad alte mansioni ecclesiastiche) che rientrò in quella bolgia dei rifugiati con le braccia intrise del sangue della vittima, accompagnata da altro giovane compaesano, che, testimone dell’accaduto, compiangeva la morta ragazza, esaltandone la bellezza.

Poco tempo dopo, rientrati nel paese, apprendemmo che l’esercito in fuga, prima di lasciare Atripalda, aveva fatto saltare i ponti fluviali della “piccola Venezia” (così spesso veniva chiamata), mutilandola per ritardare l’avanzata degli avversari; ed aveva trascinato con sé da tanti luoghi molti innocenti per martirio in campi di sterminio, come in principio non avremmo mai potuto neppure immaginare.

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