L’IRPINIA POLITICA (DI NUOVO) TRIBÙ SANNITICA

C’è chi si è detto contrariato, addirittura offeso, per due mie recenti asserzioni.

La prima è relativa alla qualità della classe dirigente politico-istituzionale irpina, che non pare stia dando prova d’essere all’altezza dei suoi compiti, peraltro molto gravosi con tutti i problemi indotti dalla pandemia: i quali – vale rilevarlo – non sono problemi sostitutivi bensì – ahinoi – aggiuntivi rispetto a quelli storici che in larga parte non siamo ancora riusciti a superare, dunque ad archiviare.

La seconda asserzione – non per caso “dal sen fuggita”– è la semplice constatazione di un dato di fatto: politicamente parlando, gli irpini sembrano tornati ad essere – dopo ben 22 secoli e rotti – una tribù sannitica: impresa inverosimile, e naturalmente in negativo, dei “lupi” di penultima ed ultima generazione, considerato che almeno da quando esiste l’Italia repubblicana, e fino a quindici anni fa, giorno più giorno meno, la classe politica sannita è stata una dignitosa, ma pur sempre subalterna, rappresentanza di quella irpina.

Parto dalla seconda asserzione, che più della prima fa incavolare i miei critici avellinesi, in special modo il gruppo di prima fila del Partito Democratico.

I dati di fatto, oltre ogni ragionevole dubbio, sono due. Uno si chiama Umberto Del Basso De Caro, l’altro Clemente Mastella: entrambi sanniti, appunto.

Del Basso De Caro mise tenda in Irpinia, sostanzialmente, con le politiche 2013. E qui allargò il suo campo di conquista negli anni del suo sottosegretariato alle Infrastrutture, ruolo che ricoprì con intelligenza ed efficienza. Per la conquista della provincia avellinese, all’epoca egli poté contare anche sul progressivo logoramento politico di Ciriaco De Mita, oltre che su una rappresentanza parlamentare irpina la quale, al netto del fattivo pragmatismo di Angelo Antonio D’Agostino, si rivelava oggettivamente inconcludente sia nel pensiero che nell’azione.

Gli anni di semina di Del Basso De Caro in Irpinia gli hanno portato due frutti di sicura valenza politico-istituzionale: l’elezione di Gianluca Festa a sindaco di Avellino; la conquista di un seggio in Consiglio regionale con Livio Petitto. Sicché, disponendo di tre caselle importanti – lui unico parlamentare dell’unico partito locale strutturato, cioè il Pd; il sindaco del capoluogo e un consigliere regionale – il deputato beneventano ha di fatto metaforicamente ridotto l’Irpinia a colonia (a me piace dire “tribù”) sannitica.

Si dirà: ma qui ci sono ben quattro parlamentari 5Stelle irpini doc; c’è un parlamentare ex Forza Italia anch’egli lupo doc; c’è perfino un senatore leghista ancorché irpino soltanto d’adozione. Tutto vero. Ma siamo seri: per ciò che i quattro 5Stelle avrebbero potuto fare e non hanno nemmeno pensato di fare; per il tutto altrettanto non fatto dal senatore leghista, non foss’altro perché non ha potuto farlo; e per la condizione dell’ex forzista sempre all’opposizione, per cui seppure avesse voluto far miracoli s’è dovuto giocoforza limitare a far preghiere: con questa roba qui, c’è davvero qualcuno disposto a scommettere un soldo bucato che la classe politica locale sia in grado di riconquistare – non diciamo il Sannio – ma almeno la propria bandiera, giusto per non tornare ad essere, dopo 22 secoli e rotti – tribù sannitica?

Badate bene: come se non bastasse Del Basso De Caro, “in agguato” c’è anche un altro sannita, il succitato Clemente Mastella. L’attuale sindaco di Benevento – già enfant prodige della cultura filosofica, già bravo e promettente giornalista Rai, già parlamentare per moltissime legislature, già ministro, già Capo della Segreteria politica di Ciriaco De Mita quando questi era potentissimo leader della potentissima Democrazia Cristiana, già tante altre cose che voi tutti conoscete – Mastella, dicevo, un paio di settimane fa ha rilasciato un’intervista a Orticalab in cui, preso dal suo antico amore per l’Irpinia (fu grazie a Ciriaco e agli irpini che nel 1976 andò a sedere per la prima volta nell’emiciclo di Montecitorio) a un certo punto dice: “… Mi fa male il cuore e l’anima vedere come la classe politica della provincia di Avellino, per ragioni anagrafiche e di parte, non abbia – ahimè – eredi all’altezza di quella che c’era prima. Il livello qualitativo è sceso molto… Vorrei provare a dare una mano politicamente a quei riferimenti che hanno la mia stessa estrazione democristiana, anche nel Pd. Certo, ognuno si sceglie i tutori che vuole avere, ma che ci sia questa forma di prevalenza attraverso dei personaggi che non mi va di commentare, mi pare sia una cosa inaccettabile per una provincia che ha sempre fatto scuola politica…”.

Ora, a voler essere campanilisti, “lupi irpini doc”, verrebbe da ululare: “Grazie, Clemente: ma, come sannita trapiantato da queste parti, Umberto basta e avanza”. Perché, a conti fatti, è a Del Basso De Caro che Mastella si riferisce quando accenna a “dei personaggi” che non gli “va di commentare”. L’origine dello scontro tra i due beneventani – lo sanno anche le pietre – si perde nella notte dei tempi, perciò non sorprendono i colpi sotto la cinghia che i due antagonisti sanniti si scambiano sul ring e in ogni luogo. Ergo, nelle valutazioni di Mastella si potrebbe individuare una dose abbondante di faziosità da conflitto d’interesse

Epperò, al netto degli apprezzamenti scontati sul suo concittadino e nemico, come dar torto al sindaco di Benevento quando con due sapienti pennellate ci restituisce il ritratto reale – ossia il Niente – della classe politica irpina che ci ritroviamo?

Si dirà: ma Del Basso De Caro ha intanto avuto il merito di far fuori i De Mita dalla scena irpina. Intanto non è vero, perché i decariani di oggi con i De Mita, che sono gli stessi di ieri, ci vanno a braccetto: se non a mezzogiorno, di sicuro al calar della sera. E quant’ anche non fosse così, quale seme Del Basso De Caro ha lasciato cadere sul terreno della tribù politica irpina, e per far germogliare quale tipo di frutti? Gli atti consumati sulla Sanità ospedaliera negli ultimi tempi, l’assenza totale di iniziativa sul Recovery Plan, il silenzio assordante su una materia sensibile come l’Ambiente nella fase di maggiore aggressione delle cause di inquinamento, l’inerzia su tutto quanto riguarda il complesso e delicato mondo dei servizi sociali, e l’elenco potrebbe spaziare in lungo e in largo su altri cento temi, fanno pensare che il deputato beneventano – ottimo professionista e politico di raro spessore culturale – si sia distratto un po’: aveva immaginato d’aver cresciuto cavalli di razza che – ahilui! – alla prova dei fatti si sono rivelati tutt’altro. Insomma, a differenza di Caligola, che già di per sé l’aveva fatta grossa, Del Basso De Caro ha sbagliato quadrupedi: equini sì, ma d’altra razza e consistenza.

Sarebbe ingeneroso, tuttavia, addebitare al solo deputato beneventano la responsabilità del crollo qualitativo della classe dirigente politica cresciuta nell’unico partito strutturato d’Irpinia. Nell’altra metà del Pd c’è il medesimo vuoto. E i fatti appena elencati – dalla Sanità a tutto il resto – sono la prova della totale assenza di pensiero e di iniziativa di capi e capetti di questa parte della tribù. Sicché, alla fine, diventa irrilevante il marchio d’origine: gli irpini tribù sannitica di 22 secoli e rotti addietro, oppure i sanniti tribù irpina almeno dalla proclamazione della Repubblica Italiana fino a quindici anni fa, sarebbe come cambiare (inutilmente) l’ordine degli addendi. Poveri noi!

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