CRISTO SI È FERMATO (ANCHE) AD AECLANUM

Devo ringraziare pubblicamente la collega Nicoletta Caraglia. Lo faccio come cittadino di Mirabella Eclano, e più generalmente come cittadino irpino, campano, italiano.

Circa un mese fa mi propose – per Irpinia Tv – un’inchiesta sullo stato di abbandono dei siti archeologici della provincia avellinese: un tema niente affatto nuovo e nemmeno originale, ma comunque sempre attuale, foss’anche soltanto perché mai risolto.

Invero, del medesimo argomento, in singolare coincidenza, mi aveva parlato l’assessore del comune eclanese Raffaella D’Ambrosio, nipote del compianto direttore del Mattino Franco Angrisani, al quale mi legava un’amicizia di famiglia ben più “antica” della mia assunzione presso il quotidiano di Napoli fortemente sponsorizzata da lui dopo il terremoto dell’80’, quand’egli era ancora vice dell’allora “Numero Uno” del giornale, Roberto Ciuni.

Nicoletta partì proprio da Mirabella, dal sito di Aeclanum, per la prima puntata dell’inchiesta. Anche grazie all’assessore D’Ambrosio, assieme allo stato di abbandono degli scavi archeologici della più importante colonia romana dell’interno, emerse la notizia che il comune aveva diverse volte sollecitato l’attenzione della Soprintendenza competente su quella vergognosa realtà senza mai averne riscontro. Nemmeno quando, e siamo al punto, il comune si era offerto di provvedere a proprie spese alla pulizia degli scavi.

La puntata dell’inchiesta fece rumore. Un rumore amplificato dai successivi servizi di Nicoletta Caraglia su altri siti archeologici nel degrado, fino a diventare assordante quando l’assessore D’Ambrosio, sostenuta nella battaglia da Irpinia Tv, cominciò a farsi sentire con opportune lettere di denuncia perfino ai piani alti del ministero dei Beni Culturali.

Due giorni fa è finalmente arrivata al Comune di Mirabella l’autorizzazione della Soprintendenza a poter procedere con la pulizia di Aeclanum. Morale della favola – di questa favola che conta non poche indifferenti, arroganti, insopportabili “streghe” e “stregoni” della burocrazia “archeologica” – è che si è dovuto combattere su più fronti contemporaneamente per far tornare al doveroso decoro un bene culturale d’inestimabile valore. La morale, il paradosso della favola, è che è stato necessario combattere, per di più a proprie spese, contro l’istituzione che ha il compito, il dovere, la responsabilità di preservare e valorizzare i beni archeologici, ossia contro la Soprintendenza.

Naturalmente, Aeclanum è soltanto un esempio. Le medesime indifferenze coprono di vergogna quasi tutti gli altri siti della provincia di Avellino e non solo: si salvano soltanto quelli che i rispettivi comuni riescono a strappare ai letarghi burocratici e politici delle Soprintendenze. Per anni è accaduto anche a Pompei e ad Ercolano, giusto per citare il meglio che abbiamo in Campania, con i danni di mancata conservazione e d’immagine che le cronache hanno puntualmente raccontato.

Da qualche tempo il ministero competente ha dato segni di vita e talvolta perfino di vitalità. Ma attenzione: lo sguardo della politica ministeriale si ferma ai nomi dei Siti già conosciuti nel mondo, non si allunga “oltre le siepi” che nascondono tantissimi piccoli, grandi tesori culturali della nostra millenaria storia archeologica. Un delitto. Tanto più grave per la unicità di questa storia, dunque per l’altissimo potenziale di valorizzazione anche in chiave turistica in essa contenuta.

P.S.: Avevo dimenticato (fatto finta di dimenticare) un dettaglio non proprio marginale. A metà Anni Sessanta, quando ero appena 17enne, scrissi per il giornale “Roma” il mio primo importante articolo di sconosciuto corrispondente da Mirabella Eclano. Il capo delle pagine provinciali e Campania era Franco Scandone, un Signor Giornalista, nipote dell’omonimo (invero Francesco) storico originario di Montella. Mi telefonò per chiedermi se ero documentato sulla materia del “pezzo”. Gli risposi: “Ampiamente documentato”. Mi disse: “Bravo! Lo pubblichiamo domani in nazionale con un titolo a tutta pagina e richiamo in prima”. E così fu.

Magari vi racconterò in altra occasione cosa si prova, a soli 17 anni, a vedere la propria firma in calce ad un articolo pubblicato sulle pagine nazionali di un quotidiano di primaria importanza qual era il Roma di allora. Oggi mi fa piacere ricordare come Franco Scandone titolò quel pezzo: “Gli scavi di Aeclanum abbandonati alle pecore e alle coppiette”. Il tutto, appunto, con ampia documentazione fotografica.

Sono passati 56 anni. Ricorsi storici. Giusto per dire che la sensibilità politica e burocratica – rispetto al tema della conservazione e valorizzazione dei nostri Beni Culturali, si chiamino Aeclanum in Irpinia o Terme Erculee a Milano – è ferma al palo da almeno mezzo secolo. Non oso pensare a quanta “roba” è stata nel frattempo abbandonata, depredata, distrutta.

Si può continuare a restare indifferenti? Invece di inciampare quotidianamente nel niente – e nel niente goffamente cadere, sospinta dal suo solito, noioso, inconcludente bla bla bla – la politica irpina non potrebbe almeno tentare di porre la questione al ministro Franceschini? Sto scherzando, naturalmente!

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