ATRIPALDA – MILLE VIOLINI SUONATI DAL VENTO

In quella lontana età, una pioggia frequente ci faceva compagnia in ogni stagione.

Ricordo quel selciato umido o addirittura bagnato delle strade, il ripetuto gocciolare delle grondaie, sempre un po’ sgangherate, dei tetti e, nel freddo inverno, l’odor di neve delle vicine campagne disadorne.

Ma si era giovani studenti innamorati del paese e si era soliti passeggiare qualche ora, di tarda mattina, nella piazza principale anche sotto la pioggia, magari riparandosi a volte lungo i fabbricati, in attesa di cambiamenti del tempo, facendo progetti o soltanto sognando.

Si parlava inevitabilmente degli esami di preparazione per l’Università, in vista delle scadenze, sempre troppo vicine, delle sessioni; e spesso si concordava di studiare insieme per un ripasso finale, in attesa delle prove imminenti.

Poi il giorno dell’esame, per il quale occorreva partire, di buon’ora con l’autobus o con un posto-auto da noleggio, per l’Ateneo di Napoli, maestoso, scuro, severo.

Il turbinio della grande città, che sapeva tutto, ci stordiva e l’ansia aumentava, ma d’improvviso si tramutava stranamente in desiderio di affrettare la prova, qualunque ne dovesse essere l’esito, poiché prevaleva il bisogno di rientrare quanto prima nel rifugio di quella piazza bagnata da una “pioggia d’argento”. Da essa era piacevole ripararsi, magari con un semplice ombrello, a volte anche un po’ “galeotto”, nel proporre timidamente “t’accompagno”, anche sentendosi rispondere “grazie, non occorre, abito qui vicino”.

Ma paese mio, “quanto piovevi” in quel tempo; e ci era gradito.

Desidererei tornare da te, sia pure per poco, almeno per ritrovare quei volti e per vedere se conservi ancora quel tuo costume.

Però tu mi dici che non servirebbe, perché quei volti sono quasi tuti svaniti e la pioggia di ora non potrebbe mai più essere quella di allora.

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