HAI IL SINGHIOZZO? ALLORA PRENDITELA COL GIRINO

Lo so che vi starete chiedendo come si possa spiegare il botta e risposta dell’intestazione.
Concedetemi solo un po’ di pazienza e vi accontento subito.
La spiegazione è in coda a un libro che già nel titolo offre un primo indizio: Il Pesce che è in Noi – Sottotitolo: La scoperta del fossile che ha cambiato la storia dell’evoluzione – di Neil Shubin – RCS Libri.
Neil Shubin è paleontologo marino e genetista presso l’Università di Chicago. Il libro è di qualche anno posteriore a una scoperta fatta da lui stesso nei terreni congelati del nord Canada nel 2004; precisamente nella parte a sud dell’isola di Ellesmere. Il rinvenimento, cioè, di un fossile di qualcosa che in apparenza sembrò fosse un pesce e che ad uno studio più approfondito si è rivelato come il primo esemplare di animale anfibio della storia della vita sulla Terra; quando abbandonate le acque dei fondali, da abitante del mare, “decise” di trasferirsi sulla terraferma.

– Il Tiktaalik, questo il suo nome – fatto scegliere per dovere di ospitalità, agli inuit del luogo – data la sua esistenza a 375 milioni di anni fa, milione più milione meno.
A dirla tutta, la verità scientifica, proprio il primo fossile – anello di congiunzione tra pesci e anfibi – era già stato scoperto da Sir Richard Owen nel 1800, poco distante da lì, nel Québec. Era l’Eusthenopteron e presentava un miscuglio di caratteristiche tipiche di pesci e anfibi: in particolare squame e polmoni e aveva le pinne adibite ad arto; solo anteriormente, però.
Il Tiktaalik invece, può definirsi il primo tetrapode apparso a calpestare i territori costieri del Devoniano Superiore.
Libro pluripremiato e bestseller di vendite negli USA, Il Pesce che è in Noi, è scritto – come spesso fa la divulgazione scientifica di lingua inglese – in maniera scorrevole e facilmente comprensibile anche a chi possiede una normale cultura media. È al tempo stesso ricco e completo da un punto di vista conoscitivo. Il testo è interessante soprattutto perché si basa su tutta una ricerca di tipo comparativo.
Shubin, per anni ha studiato anatomia comparata e, in particolare, le correlazioni e i paralleli tra pesci, anfibi, uccelli e alcune classi di invertebrati. Queste ricerche – ne riporta numerose nel libro – fanno luce sulle differenze e le analogie tra tutte queste classi di viventi e l’essere umano.
“Anche questo fossile Tiktaalik fa parte della nostra storia evolutiva tanto quanto gli ominidi rinvenuti in Africa come l’Austrolopithecus afarensis, la celebre Lucy” dichiara Shubin nelle prime pagine del libro.
La trasformazione che ha permesso a questo esemplare di lasciare i mari – oltre chiaramente il mutare del sistema di respirazione da branchiale a polmonare – è stato il diversificarsi della struttura ossea delle pinne con la tipica articolazione spalla, gomito e protopolso, oltre che possedere la cintura pelvica più ampia. L’Eusthenopteron presentava solo uno schema: un osso – due ossa. Invece le creature come il Tiktaalik cominciano a mostrare il sopraccitato modello al gran completo. Sistema di articolazione che condividono oggi: pipistrelli, pinguini, lucertole, uccelli e braccio umano.
Altra importante modifica è stato il sistema di congiunzione tra colonna dorsale e testa.
Nei pesci non è presente l’articolazione del collo. Il pesce per girare la testa muove l’intero corpo. Nel tetrapode il collo permette il solo spostamento della testa per la presenza dell’articolazione delle vertebre cervicali e il movimento della testa è completamente indipendente dalle spalle. Gli occhi, poi, nei pesci occupano entrambi i lati della testa tonda, mentre nei tetrapodi come per esempio coccodrilli e lucertole la testa è piatta e gli occhi posizionati al di sopra, proprio per la possibilità di utilizzare i movimenti del collo.
– Come sia avvenuto tutto questo, nel corso dell’evoluzione, il libro lo spiega in vari momenti cominciando dallo sviluppo della articolazione della mano. Cita le varie ricerche portate avanti nel corso degli anni dai biologi Zwilling e Saunders nello studio dei processi di differenziazione tra l’ala di un uccello, pinna di una balena e la nostra mano. Si comincia con le ricerche genetiche sulla porzione di tessuto ZPA (Zona di Attività Polarizzante) all’interno dello sviluppo dell’embrione, per finire con gli studi di Randy Dahn sul Sonic hedgehog: il gene che mette in moto la differenziazione delle dita tra le varie classi di viventi.
Non voglio annoiarvi più di tanto nel riportare tutte le correlazioni che il libro fa.
Ne enuncerò solo qualcuna. L’arco dentario di conodonti e ostracodermi (200 e 400 mil. di a.f.) presentava denti a tutti gli effetti – compresa la presenza di idrossiapatite, la parte più dura dello smalto – in pesci, a quei tempi, ancora privi di mandibola. Ma quello che meraviglia è il loro procedimento di sviluppo con più strati di tessuto cellulare di partenza – che con il contributo di determinate proteine – durante la crescita si uniscono, si differenziano e si conformano in tipologie varie di tessuti e organi che vanno dai peli, alle piume, alle mammelle e per l’appunto ai denti.
“La tecnica di sviluppo di questi tessuti viene adottata oggi nei processi di produzione delle iniezioni plastiche che vanno dai componenti per le automobili fino a quella degli yo-yo” citazione dell’autore.

– Andiamo veloce… dobbiamo arrivare al singhiozzo
La prima fase di sviluppo degli archi branchiali in un embrione umano è la stessa dell’embrione di uno squalo compresa la disposizione dei nervi cranici, trigemino compreso.
Le aperture nasali e il flusso e la percezione delle molecole olfattive sono alla base dello stesso apparato nei pesci cartilaginei e nell’uomo. Il 3% del genoma umano è interessato dai geni dell’olfatto. Ben trecento di questi geni, ahinoi, sono privi di funzione effettiva – come fossero disattivati – mentre, sappiamo tutti che sono efficientissimi in altri mammiferi, ad esempio: i cani.
Siamo in buona compagnia però: quegli stessi geni, in mammiferi marini quali cetacei e delfini, sono disattivati e sono stati adibiti a formare i caratteristici sfiatatoi per respirare.
Volete un altro esempio di comunanza dell’uomo col mondo del mare? I mammiferi, appena citati, hanno in comune con noi: peli, mammelle e orecchio medio composto da tre ossa: staffa, incudine e martello.
Infine una forma primitiva del nostro orecchio interno – la coclea, che sta alla base del senso dell’equilibrio e dell’orientamento – è presente sotto l’epidermide degli squali ed è il neoromast. Fornisce al pesce le informazioni sul cambio di corrente nell’acqua.
Il Pax 6 e il Pax 2 – altri due geni – ve li risparmio sennò come diceva Peppino a Totò in una famosa lettera “è troppa roba” e qualcuno potrebbe esclamare (mi auguro di no): dacci pace… non Pax!
Sappiate soltanto che presiedono allo sviluppo degli occhi e dell’udito e una loro versione rudimentale e primitiva è entrata in scena per la prima volta nelle cubomeduse australiane, tristemente conosciute ancora oggi, dai nuotatori del luogo, per il loro veleno altamente tossico.

– E arriviamo alla problematica del singhiozzo
Chi di noi non è mai stato investito da questo fastidioso singulto che a volte ci coglie nei momenti più inaspettati e imbarazzanti specie se stiamo parlando in pubblico o conversando in atteggiamenti intimi che richiedono ben altro… che non il singhiozzo.
Ebbene i girini ce l’hanno costituzionalmente ma, per loro, è esclusivamente un’operazione di tipo funzionale per la particolare condizione di doppia respirazione branchiale e polmonare.
Quindi scagioniamo e provvediamo subito a far scendere il simpatico girino dal banco dell’imputato.
Il singhiozzo affonda le radici nella storia evolutiva che condividiamo con pesci e anfibi.
Se esiste una qualche consolazione nell’averlo, è che colpisce anche molti altri mammiferi.
Si tratta di una comune contrazione che interessa diversi muscoli: diaframma, collo e gola. Uno spasmo in uno o due dei nervi principali che presiedono alla funzione del respiro può provocare la contrazione dei muscoli, che si manifesta con un’inspirazione molto decisa dell’aria.
35 millesimi di secondo dopo, la glottide tappa l’ingresso del condotto respiratorio. L’inalazione rapida seguita subito dopo dalla chiusura, produce il singhiozzo.
Il fastidio deriva dal fatto che di rado ci capita di singhiozzare una volta sola. In genere, il singhiozzo, si placa da solo dopo una decina di singulti, altrimenti può andare avanti fino a raggiungere, in media, il numero di sessanta.
I rimedi per interromperlo principalmente consistono nello stirare il corpo facendo un respiro profondo e trattenendo l’aria il più possibile; oppure inalando anidride carbonica – per esempio respirando in un sacchetto di carta -.
In alcuni casi di singhiozzo patologico i colpi si protraggono per parecchio tempo. L’attacco più ostinato ne ha registrati tra i 1922 e 1990 (nota dell’autore).
Il singhiozzo è una testimonianza del nostro passato per due aspetti: il primo riguarda ciò che causa gli spasmi dei nervi e deriva dalla nostra storia come pesci; il secondo riguarda ciò che controlla i singoli colpi, ossia l’improvvisa occlusione tra canale di inalazione e glottide, e discende dalla nostra parentela con i girini.
Iniziamo dai pesci. Il cervello riesce a regolare il respiro senza alcuno sforzo da parte nostra. La funzione regolatrice conosciuta come “generatore di controllo” presiede nella corteccia cerebrale e produce schemi ritmici nervosi che di conseguenza azionano i muscoli di torace, diaframma e gola.
In origine questo meccanismo è cominciato nei pesci e solo dopo si è trasferito nei mammiferi. La stessa disposizione di nervi si trova persino in pesci primitivi come gli ostracodermi di 400 mil. di a.f. (visti prima).
Il meccanismo funziona a meraviglia nei pesci ma nei mammiferi è piuttosto d’impaccio.
Nei pesci la trasmissione degli impulsi è di percorso breve: dalla testa alle vicine branchie. Il tragitto nei mammiferi è molto più complesso e deve attraversare molti più muscoli: dal collo al torace. I nervi che presiedono al diaframma – il nervo vago e il nervo frenico – ricevono impulsi dal cervello con un percorso molto più lungo e contorto. Per nostra sfortuna, qualunque cosa interferisca con questi nervi può innescare un blocco della funzione e provocare uno spasmo.
Se questo bizzarro tragitto è un lascito del nostro passato come pesci, il singhiozzo di per sé deriva piuttosto dagli anfibi.
Ma non anfibi qualunque: proprio i girini. Questi per respirare utilizzano sia i polmoni sia le branchie. Usano anche loro il generatore di controllo respirando, all’inizio della loro esistenza, principalmente con le branchie. Per far si che l’acqua pompata dalla bocca e gola non entri nei polmoni ma fuoriesca dalle branchie sigillano la glottide e questo per tutto il loro ciclo respiratorio.
Sono destinati – per tutto il periodo di respirazione branchiale – a una sorta di singhiozzo prolungato.
“Le somiglianze tra i nostri attacchi di singhiozzo e la respirazione branchiale dei girini sono così numerose che molti hanno proposto di considerare i due fenomeni la stessa cosa” scrive Shubin e addirittura propone un metodo – qualora il girino lo volesse, ma ritengo di no – per interrompere la respirazione branchiale: “fargli bere un bicchiere d’acqua a testa in giù”.

– E per chiudere… in genere cerco di farlo con un riferimento letterario. Stavolta, invece, mi servirò del “singhiozzo” più famoso di tutta la storia della lirica. Quello che investe il capocomico Canio, affranto in seguito al tradimento della moglie, mentre veste la giubba per andare in scena.
L’opera: Pagliacci di Ruggero Leoncavallo – l’Aria: Vesti la Giubba
Il link del filmato è su YouTube con voce e immagini d’epoca di Enrico Caruso

Vesti la giubba e la faccia infarina.
La gente paga, e rider vuole qua.
E se Arlecchin t’invola Colombina,
ridi, Pagliaccio, e ognun applaudirà!
Tramuta in lazzi lo spasmo ed il pianto
in una smorfia, il SINGHIOZZO e ’l dolor, Ah!
Ridi, Pagliaccio,
sul tuo amore infranto!
Ridi del duol, che t’avvelena il cor!

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