La difficile vita del giornalista

Domani è già un altro giorno e per il giornalista si ripete implacabile il travaglio di ieri, poiché tutto ciò che senza tregua era stato raccolto, scritto, prodotto e pubblicato è già “consumato” e superato, di tal che urge preparare del nuovo, appena in tempo per ricominciare e poter soddisfare la pubblica opinione.

Questa, come sempre, ha già desiderio di nuove notizie, fresche di giornata (più delle uova), tanto da potersi dire che “dopo il pasto ha più fame che pria”. Ed il giornalista, che forse, per siffatta esigenza, non ha neppure dormito, deve necessariamente raccogliere altre notizie, anche impossibili, per riempire ancora una volta quei “fogli” e quelle “colonne” attesi anche oggi per la stampa e per la diffusione al pubblico. E così deve ripetersi ogni giorno, freneticamente.

Egli, povero grande uomo, si dibatte, sorretto dal sogno di poter fare finalmente un “colpaccio” con una notizia a grande sensazione e di prima mano (magari come quella sfuggita di “Vacanze romane”), capace di ripagarlo delle sue quotidiane ansie, acuite a volte dall’essere proprio “ a corto” di novità da pubblicare e da non poter certo inventare.

Aggiungasi che egli, quotidianamente, deve anche passare con coraggio, come tra Scilla e Cariddi, avendo da un lato la pressione del pubblico interesse all’informazione ad ogni costo, e dall’altro il severo monito della legge a non incorrere nel deprecato illecito della lesione dell’onore o reputazione altrui e diffamazione a mezzo stampa, ivi trascinando spesso in corresponsabilità, eventualmente, anche il direttore del giornale medesimo.

Trattasi davvero di una vita difficile, o addirittura “spericolata”, e “piena di guai”, nella quale non si può dormire mai e tanto meno arricchirsi.

In essa è soltanto gravoso l’eroico accontentare l’anzidetto desiderio del pubblico ad una continua informazione, aggiornata in tempo reale, sempre richiesta ed attesa; tanto che c’è persino chi, a fronte del pur “allettante” invito a recarsi “a dormire”, fa il capriccio di voler prima apprendere sino all’ultima notizia e quindi venire soltanto dopo il telegiornale.

Ma che genere di cose scrive il giornalista, tanto da ammaliare i suoi tanti lettori o ascoltatori?

Com’è noto, si distingue al riguardo la “cronaca” nella quale egli deve limitarsi a riferire oggettivamente e fedelmente i fatti che accadono, le situazioni, i personaggi e le loro manifestazioni, che siano rispondenti ad un pubblico interesse di conoscenza e nel rispetto dell’altrui riservatezza e diritto all’oblio; la “critica”, con cui il giornalista aggiunge, di suo, opinioni e commenti, ponendo però attenzione a non ledere l’altrui reputazione; e la “satira”, con la quale egli accresce l’effetto del suo dire, caricaturando, esagerando in modo divertente, ridicolizzando figure, situazioni, fatti, idee e quant’altro possa sollecitare l’attenzione, anche qui senza giungere ad offendere chicchessia, e cioè nei limiti di tolleranza dettati dal costume.

Con tutte queste produzioni e modalità, il giornalista, anche rischiando in prima persona e comunque prodigandosi senza riposo, coglie l’occasione di esibire le sue capacità e farsi anche apprezzare, essendo questa la principale, se non l’unica ricompensa alla sua fatica a vantaggio della collettività, spesso sostenuta anche mettendo a rischio la vita su fronti di guerra.

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Sotto il profilo giuridico, è noto che l’esercizio del diritto di cronaca trova il suo fondamento dell’art. 21 della Costituzione, che consente la libera manifestazione del pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. Tale diritto, così come quello di critica, gode, nell’esercizio, della scriminante giustificativa prevista dall’art. 51 c.p.. Al riguardo la Giurisprudenza ha da tempo affermato : “Il diritto di cronaca è esercitato legittimamente, sì da escludere la punibilità dell’agente, solo quando risulta contenuto entro i rigorosi limiti della verità oggettiva (risultando inaccettabili valori sostitutivi di essa, quali quello della ‘veridicità’ o della ‘verosimiglianza’ dei fatti narrati) e dalla pertinenza e continenza dei fatti narrati, cioè dell’obbligo dell’agente di rappresentare fedelmente gli avvenimenti tali quali sono (risultando escluso, quindi, la possibilità di rappresentarli sedicenti o somiglianti a quelli che sono….”.

Al fine di poter invocare l’esimente del diritto di cronaca, l’autore di una narrazione cronicistica a mezzo stampa deve riferire fatti oggettivamente veri, ponendo ogni più oculata diligenza e accortezza nella scelta delle fonti informative, esplicando ogni più attento vaglio in ordine all’attendibilità di quelle che, di volta in volta, vengono sottomesse alla sua attenzione, operando ogni più penetrante esame e controllo sulle notizie, sicché non possa dubitarsi che egli, seguendo i suggerimenti della prudenza e i consigli della perizia professionale, eserciti l’insopprimibile diritto di informazione con il rispetto delle norme poste a tutela della personalità altrui e dell’obbligo inderogabile di salvaguardia della verità sostanziale dei fatti.

L’esercizio legittimo del diritto di cronaca, anche sotto il profilo putativo, non può essere disgiunto dall’uso legittimo delle fonti informative : non esistono fonti informative privilegiate, e tanto meno normativamente predeterminate, tali da svincolare il cronista dagli oneri suddetti”. (Cass. Sez Un., 30-6-1984).

Nel caso di pubblicazione di un’intervista, la verità del fatto narrato, la pertinenza all’interesse che esso assume per l’opinione pubblica e la correttezza della modalità con cui il fatto viene riferito, sono criteri che vanno rapportati alle espressioni verbali provenienti dalla persona intervistata, costituenti il “fatto” in sé. Il limite della “verità” si atteggia, pertanto, in maniera del tutto peculiare, siccome riferito non al contenuto dell’intervista, cioè alla rispondenza del fatto riferito dall’intervistato alla realtà fenomenica, ma al fatto che l’intervista sia stata realmente operata e che i concetti o le parole riportati dal giornalista siano perfettamente rispondenti a quanto profferito dalla persona intervistata.

Il giornalista è tenuto, quando il fatto-intervista pubblicato consista in valutazioni o giudizi, al rigoroso rispetto delle opinioni, manifestate dall’intervistato anche in termini critici, al fine di fare emergere l’obiettività del giudizio anche sul personaggio intervistato. La diffusione dell’intervista risponde perfettamente in tal caso, alla funzione informativa della stampa e soddisfa correttamente l’esigenza, sentita dal grande pubblico, di approfondire la conoscenza di soggetti agli apici della vita politica, culturale o economica del Paese, anche attraverso le modalità delle loro espressioni verbali.

Il mantenimento della posizione di “testimone” obiettivo, che si limita a sintetizzare nel titolo il contenuto critico dell’intervista, a rendere semplici espressioni volte a presentare l’intervistato e a porre quesiti strettamente funzionali alla manifestazione della sua opinione, si risolve nella realizzazione di quegli elementi che, se pure rapportabili a un principio di continenza in senso lato, valgono a riassumere l’atteggiamento di distacco dall’intrinseco contenuto – anche diffamatorio – delle risposte (Cass. 2144/99).

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