Ucraina / Decidere da che parte stare

In merito all’invasione dell’Ucraina ad opera della Russia di Putin, dal Senatore Ugo Grassi (Lega) riceviamo e pubblichiamo.

– di Ugo Grassi* –

Nel giro di due anni siamo stati sbalzati dentro due eventi per noi da tempo relegati quale trama di qualche buon film, magari da vedere la sera con la famiglia, al calduccio delle nostre case e delle nostre vite coccolate da 75 anni di assoluta tranquillità, crescita economica e tecnologica. Credo che poche generazioni abbiano potuto godere di un simile benessere così a lungo. L’abitudine al confort, all’autodeterminazione, alla disponibilità di cure sanitarie un tempo impensabili (pensate solo a cosa significasse ammalarsi di appendicite prima dello sviluppo della chirurgia) ci impediscono di “pensare l’orrore”: cerchiamo una spiegazione rassicurante, una narrazione, come si usa dire, che ben si raccordi con la vita come l’abbiamo finora conosciuta.

La pandemia ci ha resi tutti virologi; adesso, con una guerra che sembra teletrasportata dal secolo scorso sino al terzo millennio, siamo diventati tutti politologi.

Da un lato abbiamo la versione della parte cui apparteniamo (l’occidente): Putin è un dittatore, forse ha pure perso la ragione, ed ha aggredito un paese sovrano per semplici motivi espansionistici. Dall’altro lato c’è una versione “forse” più equilibrata: la Nato ha allargato i suoi confini in modo smisurato; la Russia non andava provocata; nelle zone di confine tra Ucraina e Russia ci sono stati orrendi massacri a danno delle popolazioni di stretta etnia russa; Putin in fondo chiedeva solo che l’Ucraina rimanesse neutrale; facciamoci i fatti nostri, lasciamo che se la prenda e la questione si chiuderà qui. Nell’ipotesi migliore si arriva a dire che siamo tutti colpevoli e il sangue degli innocenti ricade in egual misura su tutti noi, Putin incluso ovviamente (Antonio Polito sul Corriere ha acutamente ricordato e censurato il motto “né con lo stato né con le BR). Lungo la strada c’è spazio per aggiungere “con Trump non sarebbe successo”.

Io credo che in tutto quanto detto ci sia del vero, ma che ugualmente è possibile decidere da che parte stare, senza smettere di avere un pensiero critico.
Partiamo da un dato: la Russia ha perso la guerra fredda, e con la dissoluzione dell’URSS i suoi paesi satelliti sono in gran parte fuggiti a gambe levate dalla sfera di influenza russa. Per fare due esempi: la Repubblica Ceca e la Polonia ben rapidamente hanno ridato vitalità ai loro valori identitari palesemente votati a sostenere una società democratica e liberale, le cui radici sono senza dubbio piantate nel terreno del continente europeo (da non confondere con l’Unione Europea). Questi due paesi sono entrati nella Nato e nella UE perché così è stato deciso dai loro popoli, che si sono espressi tramite libere elezioni all’interno di ordinamenti che ben possono dirsi “democratici”. Avremmo potuto noi rispondere loro “No, tu non vieni a stare con noi, altrimenti la Russia si arrabbia?”. Pensare che alla Russia fosse dovuto il rispetto della zona di influenza su cui imperava prima del crollo del comunismo è quasi pari a dire che alla Germania dovrebbe essere riconosciuto il diritto di annettersi l’Austria perché così era prima che perdesse la guerra. D’altra parte l’argomento della “provocazione” può essere ribaltato: oggi, alla luce di quanto sta accadendo, possiamo pensare che i paesi dell’Est, conoscendo lo scomodo vicino, siano stati lungimiranti a mettersi sotto la protezione della Nato. Non a caso la Moldavia manifesta una forte preoccupazione per la propria sorte, e la Svezia e la Finlandia, in contrasto con una lunga tradizione, stanno valutando l’ingresso nell’alleanza, ottenendo già le prime minacce da parte di Putin (fatto gravissimo perché spia delle mire espansionistiche).

Quindi l’argomento secondo cui Nato ed UE non si dovevano “allargare” non regge.

“Le comunità di lingua russa sono state perseguitate”. Sì è vero che sono stati commessi dei crimini, ed è vero che la strage di Odessa è rimasta in gran parte impunita. Di crimini ve ne sono stati. Scrive Amnesty International in un report del 2014: “I ricercatori hanno anche intervistato rifugiati ucraini nella regione russa di Rostov. Secondo i loro racconti, le forze governative ucraine hanno bombardato pesantemente le zone in cui abitavano e si sono rese responsabili di attacchi indiscriminati che potrebbero costituire crimini di guerra. I separatisti hanno commesso rapimenti, torture e uccisioni di civili.” Ma lo stesso report precisa: «Le nostre prove indicano che la Russia sta alimentando il conflitto, sia con l’interferenza diretta che fornendo assistenza alle forze separatiste nell’est dell’Ucraina. La Russia deve fermare l’afflusso di armi e di altre forme di sostegno ai gruppi d’insorti che sono fortemente implicati in gravi violazioni dei diritti umani». In un altro report, sempre del 2014 A.I. scrive: “Un’indagine condotta da Amnesty International nel Donbass a fine agosto e fine settembre ha accertato che in Ucraina orientale vi sono stati casi isolati di uccisioni sommarie e deliberate da parte dei gruppi separatisti filo-russi e delle forze pro-Kiev, ma non della dimensione riferita dai media e dalle autorità della Russia.”

“L’Ucraina è piena di neonazisti”. È vero che nella società ucraina sono presenti forze neonaziste in misura tale che se la metà fosse presente in uno dei nostri Paesi verremmo tutti presi da crisi nervose. Si guardi ad esempio a Andrij Parubij, Presidente del parlamento ucraino fino al 2019, e segretario del Consiglio della Sicurezza e difesa dell’Ucraina durante le proteste di Euromaiden. La sua biografia è su Wikipedia e rinvio il lettore a quelle pagine per capire di chi stiamo parlando. Per farsi un’idea indipendente basta fare una ricerca su Google con le parole chiave “Ucraina Neonazisti” e restringere la ricerca ad un intervallo di date non oltre il 2021. Emerge anche che la Russia ha spesso presentato all’ONU delle risoluzioni per la condanna del neonazismo e che tali risoluzioni non sono state votate dagli USA, talvolta con argomenti non condivisibili, talaltra, invece, perché temevano una strumentalizzazione del problema (e qui ci avviciniamo al vero tema).

Ma qual è la posizione complessiva della Russia (di Putin per meglio dire) rispetto ai paesi dell’ex blocco di Varsavia? Anche qui la ricerca per intervallo di date su Google fornisce risultati interessanti. Si rinvengono svariate dichiarazioni da cui si ricava chiaramente il rimpianto di Putin per la grandezza imperiale della Russia sovietica e zarista. Putin si è formato all’interno di quell’epoca (noto fosse un ufficiale del KGB) ed è evidente che faccia parte della sua cultura l’idea dell’intervento armato: facile citare l’annessione della Crimea; il conflitto in Cecenia e così via.

Tirando le somme: se davvero Putin avesse a cuore i temi “etici” da lui invocati si sarebbe fermato all’invasione del Donbass e da lì avrebbe avviato una offensiva diplomatica (anche sotto la minaccia delle armi) pretendendo un Tribunale internazionale per giudicare i crimini a danno delle popolazioni di lingua russa; per esigere (sono esempi) che una commissione d’inchiesta ONU indagasse sul grado di infiltrazione dei neonazisti in Ucraina. Le notizie di questi giorni dimostrano in modo plastico che Putin ha ampiamente approfittato di tutti gli errori ed orrori commessi perché servivano al suo obiettivo militare. In questi giorni la disponibilità della Russia a trattare per trovare una soluzione evapora davanti alla pretesa che ogni accordo sia in realtà una resa a tutte le loro richieste: l’Ucraina deve diventare una seconda Bielorussia. Non comprendere quali siano i reali obiettivi di Putin presuppone che ci si dimentichi degli omicidi (tentati o riusciti) degli avversari politici, e delle guerre di aggressione già avviate.

L’Occidente ha sbagliato con Putin, senza dubbio; abbiamo sbagliato tutti ed oggi nessun politico può puntare il dito verso il suo avversario, perché tutti, in un modo o nell’altro, hanno mostrato di considerarlo un interlocutore affidabile. I soldi russi, la Russia capitalista hanno fatto comodo a tutti, così come le forniture di gas. D’altra parte in fondo era difficile pensare che in un mondo dove l’imperialismo si fonda sul soft power, sulla capacità di imporre e diffondere il proprio stile di vita, qualcuno avrebbe deciso di agire come se fossimo all’indomani del congresso di Vienna.

Tirando le somme: è giusto adesso tentare di fermare Putin usando tutti i mezzi possibili arrestandosi (si spera) sulla soglia di un conflitto Nato-Russia? Anche inviando armi? La risposta è sì, e a chi invoca l’art. 11 della Costituzione per dire che non le potremmo inviare perché l’Italia ripudia la guerra, suggerisco di leggere qualche buon commento alla nostra Costituzione. L’articolo si apre con una precisazione circa il rapporto tra l’Italia e la guerra: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli”; il che vuol dire pure che l’Italia non può rimanere indifferente quando uno Stato aggredisce un altro Stato minacciando la libertà di quei popoli. Da sempre nessuno ha mai avuto dubbi che l’art. 11 C. legittimi la guerra a difesa delle vittime e degli aggrediti. Quindi il successivo periodo secondo cui l’Italia ripudia la guerra come mezzo di risoluzione dei conflitti va letto come subordinato a superiori ragioni di difesa e di sostegno a chi subisce una aggressione.

Cosa aspettarci? Sono molto preoccupato, perché non possiamo non fare quello che stiamo facendo, giacché non farlo significherebbe lasciare l’Ucraina nelle mani della Russia nel giro di poche settimane, e Putin riterrebbe questo l’equivalente di un semaforo verde per altre “operazioni speciali”: nell’eventualità che Putin abbia davvero in mente di puntare anche su altri paesi, bisogna dimostrargli quanto questi bocconi possano essere indigesti.

Nello stesso tempo lo stallo che si produrrà è ricco di incognite e possiamo e dobbiamo sperare che sia la Russia a logorarsi prima.

Il primo e più vicino obiettivo è creare le condizioni per una trattativa che sia davvero tale, ove entrambe le parti abbiano convenienza a rinunciare a qualcuna delle loro pretese. Ora la diplomazia è ancora più importante degli aiuti che stiamo inviando, ma il nostro sforzo sarà produttivo solo se i costi saranno equamente distribuiti tra gli Stati che si oppongono alla Russia. O davvero agiamo come una squadra oppure facciamo prima a lasciare subito l’Ucraina al suo destino, perché in assenza di un leale coordinamento l’esito potrebbe essere disastroso.

Pur al netto dei nostri errori, l’enormità di quanto Putin sta facendo seppellisce ogni buona ragione ch’egli possa invocare: un fosso ha sempre due sponde ma non vuol dire che siano di altezza paragonabile.

*Senatore Lega

 

 

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