Tempo del pianto, tempo della cura

L’angoscia del tempo presente filtrata attraverso pandemia, crisi climatica ed energetica, incombente carestia e soprattutto guerra fratricida e sacrilega (come tutte le altre), non è riuscita a fermare lo slancio creativo degli organizzatori del Convegno Internazionale Umanesimo cristiano- Autori, domande, testimonianze che si è tenuto negli scorsi giorni presso l’Abbazia del Goleto, nei pressi di S. Angelo dei Lombardi. L’allerta meteo diramata per pioggia e neve su tutta la Campania sembrava congiurare contro la riuscita dell’iniziativa, rendendo particolarmente sfidante la decisione dei convegnisti di raggiungere in auto la prestigiosa sede dell’incontro. Ma l’impegno assunto mesi prima per lo svolgimento di un laboratorio di Filosofia dialogica e soprattutto la gioia di rivedere dopo svariati anni il collega Romualdo Marandino, vice presidente internazionale del Centrum Latinitatis Europae (CLE), che mi aveva coinvolto nell’organizzazione, mi hanno spinto a partecipare senza ulteriori indugi.

Il CLE può definirsi un laboratorio permanente sulla classicità ed è animato da letterati ed intellettuali europei decisi a sfidare quel malinteso modernismo che sottovaluta per ignoranza la pregnanza del messaggio che ancora oggi – e forse soprattutto oggi – le opere degli autori classici possono farci pervenire. È stato bello per me immergermi nell’atmosfera rarefatta della letteratura della classicità greco-romana e cristiana: quasi un otium che Nietzsche avrebbe definito inattuale, proprio in quanto mi risultava paradossalmente necessario e gratificante. Ho trovato molto interessante la lectio plenior tenuta dal vice-presidente CLE sulle tre figure eminenti dell’Umanesimo classico: Leonida di Taranto, Terenzio e Seneca. In Leonida, riproposto nella modernità da Quasimodo, risuonano infatti parole quanto mai appropriate ai tempi bui che stiamo vivendo, circa l’essenza della vita come solitudine spazio-temporale. Particolarmente efficace l’epigramma dedicato alla meditazione dell’uomo dinanzi alla morte, nella considerazione che bios è già abios, mentre la vita dell’uomo appare gettata nell’hic et nunc – perduta ab initio – come un eterno pagamento di debiti (un mal de vivre!) senza che la nostalgia di un altrove ne riesca ad impedire il massacro.

Infinito fu il tempo, uomo, prima che tu venissi alla luce e infinito sarà quello dell’Ade.
E quale parte di vita qui ti spetta, se non quanto un punto
o, se c’è, qualcosa di più piccolo di un punto?
Così breve la tua vita e chiusa
e poi non solo non è lieta
ma è assai più triste dell’odiosa morte.
Tu vedi, o uomo, come tutto è vano:
all’estremo del filo c’è un verme
sulla trama non tessuta dalla spola…
…Ma tu che, giorno dopo giorno, cerchi in te stesso,
vivi con lievi pensieri
e ricorda solo di che paglia sei fatto.

Di Terenzio merita anche per noi citare il celeberrimo: Homo sum, humani nihil a me alienum puto, chiamato in causa dal relatore come accorato appello alla condivisione e alla solidarietà in tempi di guerre guerreggiate con crudele accanimento. A queste considerazioni Marandino fa seguire coerentemente a mo’ di conclusione la citazione di Seneca dalle Epistulae morales ad Lucilium: Servi sunt; immo homines, con cui si afferma la dignità dell’essere umano a prescindere dalla sua condizione sociale ed esistenziale. Si sente trapelare un’emozione tra i presenti al Convegno: una sorta di pensiero collettivo connesso alla muta constatazione di quanto le parole dei classici possano essere ancora tanto efficaci nel descrivere inconsueti scenari, drammatici stati d’animo, angosce esistenziali, sensazioni colte a pelle per poi confluire verso un orizzonte di pacificazione eticamente orientato alla solidarietà e alla condivisione. Si direbbero presenti (e tacitamente operanti) vere e proprie eccedenze di futuro nel passato, per citare il titolo di alcuni saggi di filosofia morale dello stesso Marandino. Humanitas Nova nel vero senso della parola. La grande utopia, ma soprattutto la cura per questi nostri tempi travagliati, sarebbe quella di coniugare Humanitas e Paideia nell’educazione formale e informale delle nuove generazioni.

Ascolto quest’ultima proposta dalla voce di Marandino e ho un sussulto: è proprio quello che sto tentando da anni di fare attraverso le pratiche laboratoriali di Filosofia dialogica: dialogare con i ragazzi con il linguaggio delle Metamorfosi di Ovidio per scoprire l’arcana verità celata nei miti di Narciso, Orfeo, Prometeo… Gli studenti di tutte le età, specie gli adolescenti, sanno appassionarsi a queste narrazioni metaforiche misteriosamente attuali e non è raro il caso in cui giungano, con gli occhi lucidi per l’emozione, ad immettere nel discorso significativi elementi autobiografici. Paideia come Bildung, costruzione del Sé, attraverso l’introspezione, non è altro che la ricerca dell’identità personale: l’unica e più importante ricerca della vita, che è anche ricerca di nova humanitas.

Nel mio laboratorio sul tema: “Umanesimo antico e Pedagogia” ho posto il focus sulla concezione del tempo in Seneca e S. Agostino, invitando i partecipanti – disposti in cerchio per potersi agevolmente guardare negli occhi – a leggere due brevi brani e ad interrogarsi reciprocamente utilizzando la metodologia del dialogo filosofico, che io stessa ho brevettato anni fa con il logo CREATURE VARIOPINTE. Siamo partiti dalla lettura di due testi: il primo tratto dalle “Confessioni” di S. Agostino e il secondo dalla lettera di Seneca a Lucilio. Tra i dialoganti, erano presenti in sala illustri personalità del mondo della cultura: oltre a Romualdo Marandino c’erano due dirigenti scolastici e due docenti in pensione, nonché un nutrito gruppo di studenti dell’ultimo anno del Liceo Classico ’De Sanctis’ di S. Angelo dei Lombardi. L’eterogeneità dei livelli di età ha conferito al dibattito un valore aggiunto di narrazione intergenerazionale che ha gratificato tutti. Il dialogo si è svolto in maniera pertinente agli argomenti prescelti e nel più assoluto rispetto dei turni di parola e ascolto reciproco. Se la sfida del Convegno era quella di dimostrare che l’Umanesimo cristiano è stato in grado fin dall’antichità di dare risposte attendibili alle domande radicali dell’esistenza umana, l’obiettivo – perseguito ampiamente tra interrogativi e autorevoli testimonianze – è stato centrato in pieno.

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