L’IRRIVERENTE – con tutto il rispetto –

Recensione di Mirella Napodano

Alla presentazione dell’Irriverente – Con tutto il rispetto, di Franco Genzale (2022) mi è stato chiesto inizialmente quale metafora musicale userei per definire l’autore o, meglio, con quale genere musicale lo identificherei. La domanda mi intrigava moltissimo e ho prontamente risposto che lo identifico col jazz, per quel suo farsi domande e risposte come in una jam session dialogica tra lui e gli ipotetici lettori, mentre si cimentano in variazioni improvvisate su un tema. Ma Franco Genzale è anche un cercatore di perle, uno che nel suo lavoro incarna la felice metafora di Hermann Hesse: scandagliare attraverso la professione giornalistica la profondità degli abissi dell’animo umano, così come si rivela in particolare nella vita politica; scrutare il paesaggio sottomarino – a dispetto della sua dichiarata, cronica paura del mare – per cercare tutto quello che si cela sotto la superficie delle placide onde del quotidiano e il cui svelamento può contribuire a far luce sui mille arcani aspetti della realtà, attivi ed operativi anche in tempo di bonaccia. E lui, la cui identità è la franchezza, si dedica a questo lavoro per sé stesso e per gli altri con l’identica cura scrupolosa. La sua prosa ha uno stile incalzante, che non concede tregue ma regala al lettore metafore a cascata, amare e dissacranti risate, giochi di parole volta a volta disarmanti o irriverenti ma sempre freschi di giornata, come appena sfornati. E sì, perché Franco è ostaggio di un’implacabile curiosità, la stessa che la cultura anglosassone definisce serendipity, perché pare affliggesse i tre mitici principi di Serendippo – vissuti in un’epoca imprecisata – la cui storia è meglio spiegata nell’ironico aforisma di Julius Comroe Jr: La serendipità è cercare un ago nel pagliaio e trovarci la figlia del contadino, come sarà certamente capitato spesso anche a Franco. Insomma, è scoprire qualcosa di non voluto e di imprevisto mentre si stava cercando altro, il che comporta la sorpresa di scontrarsi con l’inatteso, l’inaspettato: qualcosa di non consapevolmente voluto, ma forse ancor più intrigante del precedente oggetto della ricerca.

Ecco perché c’è da accostarsi con tutto il rispetto a questa ponderosa raccolta di analisi e commenti, scritti per Orticalab in poco più di quattro anni di ansimante ricerca. L’opera rappresenta certamente un unicum nel suo genere: sfogliarne le pagine emoziona come quando ci capita di aprire dopo alcuni anni il diario segreto di un adolescente. E il paragone non vale certo solo per gli argomenti trattati, ma per la passione morale e civile che trapela tra le righe e ha guidato l’autore fin dai suoi verdi anni in un percorso così ampio ed impervio. Sì, perché Franco non descrive soltanto gli incoerenti avvenimenti di una sonnolenta provincia del Sud appenninico – già patria di illustri studiosi e uomini politici di chiara fama – ma implicitamente scruta innanzitutto sé stesso come spettatore dedito ad una sorta di costante, tacita introspezione. Ed è tale l’indignazione che gli deriva dal costatare la distanza siderale che passa tra l’essere e il dover essere negli avvenimenti politici che descrive e più spesso denuncia – come quando definisce il PD Irpino come un Hotel a due stelle – che a me sembra di cogliere di tanto in tanto nelle sue parole le tracce di un’inguaribile, nostalgica ricerca dei valori perduti, solo incidentalmente travestita da simulata irriverenza. È lo stato d’animo che lo fa riconoscere nel corto circuito di quell’innamorato che – esasperato dall’attesa di una chiamata che non arriva – si telefona da solo per il gusto di sentire la suoneria e per dispetto non risponde. È la delusione di Un anno da buttare, il 2017, che notoriamente era già nato disgraziato nel numero.

Si legge tra le righe dei corsivi di Genzale l’esigenza e l’ansia di comprendere il nostro tempo che Edgard Morin, nella prefazione al libro di Mauro Ceruti: Il tempo della complessità, definisce come un problema-matrioska, che contiene in sé altri problemi, ciascuno dei quali contiene a sua volta altri problemi…

Non mi è difficile immaginare Franco da ragazzino – abbarbicato alla sua Olivetti Lettera 22 – mentre si affanna a scrivere articoli su articoli con l’improbabile lena da grafomane di un giornalista ‘abusivo’… Di certo deve essersi strutturato in quegli anni quel suo inconfondibile stile di scrittura diretta e immediata, che attualizza il presente mentre prefigura il futuro, cercando nel passato i germi delle crisi dell’ipercomplessità che ci affligge. Le sue ipotesi sul comportamento dei politici e sull’andamento delle istituzioni, formulate con metodo (oserei dire) galileiano, trovano conferma nelle documentate, ineccepibili argomentazioni che – con lo stile incisivo ma sempre garbato di una conversazione da salotto – Franco offre ai suoi numerosi ed affezionati lettori, prontamente contagiati dall’implacabile curiosità del giornalista e dagli strali che lancia contro la deriva populistica, giustamente tacciata di travalicare ormai nel più becero qualunquismo. E mentre spunta qua e là tra le righe dei corsivi giornalieri il sorriso tristemente ironico dell’autore, è contro i negazionisti dell’ultim’ora che lo stile letterario del direttore Genzale si increspa di indignazione e sbotta inevitabilmente nell’invettiva. E non è difficile immedesimarsi anche nel suo attuale imbarazzo nei confronti di chi tempo fa gli rimproverava di non aver raccolto prima, e in maniera sistematica, la sua sterminata quanto pregevole produzione giornalistica, anche perché i rimproveri dei figli sono quelli che bruciano di più e danno maggiormente da pensare.

Certo, da quel primo articolo scritto a 16 anni per denunciare la sorte infame toccata agli Scavi di Aeclanum, abbandonati alle pecore e alle coppiette, fino ad oggi ne è passata di acqua sotto i ponti, ma lo sguardo di Franco è rimasto lo stesso: sia che guardi al Centrosinistra ad Avellino, bello e impossibile; sia che contempli il Gigante di cartone o la Profezia di Pietrarsa, è sempre lui: l’irriverente, sincero fino allo spasimo, perennemente appassionato e incazzato per la malapolitica che inquina anche le idee. Tutto questo, e molto altro, lo rende – oggi più che mai – grande e sicuro punto di riferimento per il giornalismo irpino e nazionale.

Devo dire che ho molto apprezzato l’impostazione per annum di quest’opera, perché scandisce bene il percorso ideale dell’autore e nello stesso tempo offre uno spaccato riconoscibile degli avvenimenti intercorsi, consentendo una puntuale e precisa ricostruzione degli avvenimenti: una vera e propria cronaca della vita civile e politica irpina di questi ultimi quattro/cinque anni. Forse non sarà sempre vero che chi non conosce il passato è condannato a ripeterlo, ma è certo che chi conosce la storia ha qualche strumento in più per evitare di reiterare i propri errori. Per questo motivo raccomando fortemente a tutti la lettura dell’Irriverente, come di un avvincente romanzo. Non basterà acquistarlo solo per i nobili scopi di beneficenza cui saranno destinati i proventi della vendita: bisognerà leggere articolo per articolo con attenzione e partecipazione, semplicemente perché si parla di noi, della nostra storia recente fatta di luci ed ombre, di conquiste e imperdonabili errori di cui è urgente fare ammenda, se vogliamo imprimere una svolta definitiva e virtuosa alla nostra comunità locale e nazionale. E non ci si può tirar fuori da questo impegno, invocando l’alibi della tarda età o della complessità che ci circonda: tutto quello che accade ci riguarda e in varia misura dipende anche da noi.

Alle storiche problematiche economiche, sociali e di legalità della Terra dell’osso si sono aggiunte nuove forme di marginalizzazione, tra cui l’emigrazione dei giovani – oggi prevalentemente di tipo intellettuale, il che è ancor più pericoloso – la denatalità e il conseguente invecchiamento della popolazione, la violenza giovanile, lo spopolamento delle aree interne e chi più ne ha più ne metta. È necessario perciò riorganizzare la vita nel Mezzogiorno, rianimare le intelligenze, combattere la pigrizia mentale e l’apatia culturale, contribuendo ciascuno con le proprie forze a rinnovare la dialettica politica, per diventare protagonisti dello sviluppo economico e dell’inclusione sociale. In questo complesso impegno – quasi una rivoluzione culturale – ci sarà utile attingere all’irriverenza disseminata nei corsivi di Franco, traducibile in indignazione, non come rabbia momentanea e superficiale da sfogare alla prima occasione, ma nel senso letterale di voglia di riappropriarsi della dignità di cittadini attivi e consapevoli: una dignità che forse qualcuno aveva desolatamente relegato in soffitta ma che oggi Franco implicitamente ci invita a rispolverare. Ed è un momento favorevole, perché il Mezzogiorno, per la sua posizione geografica unica al centro del Mediterraneo, può svolgere un ruolo importante nella dialettica politica. Le risorse in arrivo da Bruxelles, se ben impiegate, rendono il momento presente particolarmente favorevole per una rinascita di respiro nazionale e internazionale delle aree interne del Sud Italia.

Si dirà che – per avviare questo processo e conseguirne gli obiettivi c’è bisogno di una borghesia illuminata. Ma è proprio quella che sta cercando col lanternino il direttore Genzale, come un novello Diogene. È la sua utopia, cui non rinuncerebbe per niente al mondo. E allora, almeno noi amici, diamogli una mano!

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