Fiori di fuoco

(F.G.) Per l’importanza che riveste e la sostanza che condividiamo appieno, collochiamo volentieri nello spazio degli Editoriali il “pezzo” di Mirella Napodano.

– di Mirella Napodano –

Da bambina amavo molto i fuochi pirotecnici. All’epoca si aspettava con ansia in piena estate la festa dell’Assunta per assistere alla gara dei fuochisti (quasi sempre tre) che si sfidavano a vicenda inventando sempre nuove composizioni a forma di fiori o cascate di stelle per stupire gli spettatori. Io ero immancabilmente lì, con mio fratello, gli amici di sempre e il permesso di fare tardi per via della festa. Si restava tutti fermi per molto tempo col naso in su in aperta campagna ad aspettare il colpo sordo che annunciava l’inizio dello spettacolo, subito sottolineato dai numerosi commenti ad alta voce della folla. Ricordo distintamente come la visione dei fuochi suscitasse nella mia mente una fantasmagoria di immagini che si sovrapponevano velocemente fino a formare quasi una narrazione iconica: un grandissimo arazzo luminoso dai disegni cashmere che si componevano e scomponevano ininterrottamente davanti ai miei occhi. Per un paio di anni di seguito credo di aver intessuto silenziosamente su queste immagini – un po’ vere e un po’ inventate dalla mia fervida fantasia – anche la trama di un racconto che mi assorbiva completamente, fin quasi a farmi estraniare dalla realtà circostante. Era un bellissimo gioco che non confidavo a nessuno. Non avrei saputo come spiegarlo anche perché, ragionandoci su per condividerlo con qualcuno, si sarebbe di fatto dileguato sfumando nelle logiche della realtà contingente.

Nel Tempo ritrovato, ultimo dei sette volumi dell’oeuvre cathédrale ‘Alla ricerca del tempo perduto’ di Marcel Proust – libro che più di ogni altro ha profondamente segnato la mia vita – ho ritrovato la stessa sognante atmosfera nell’interminabile descrizione delle sinuose volute di merletto della tenda svolazzante nel salotto dei Guermantes durante una festa di Carnevale. Fili di seta con cui le donne riuscivano a costruire percorsi che si intrecciavano nella stoffa per poi scomparire e riaffacciarsi come in un fenomeno carsico. Una descrizione – quella di Proust – indirizzata non tanto e non solo alla narrazione quanto ad una riflessione psicologica sulla letteratura, sulla memoria e sul tempo; elementi apparentemente sparsi, ma che si ricollegano nell’immaginario dello scrittore/narratore attraverso le esperienze positive e negative della sua esistenza.
Nelle scorribande di Ferragosto, quasi sempre portavo con me l’immancabile palloncino appena comprato in una bancarella del Corso, tenendone ben stretto al polso il filo perché non volasse. Purtroppo questa manovra per una volta non funzionò, lasciandomi sconsolata a guardare piangendo quello che ormai era solo un punto lontano – perduto per sempre – volare nel cielo per incontrare i fiori di fuoco, che di lì a poco sarebbero apparsi per la gioia del pubblico vociante. Ma chi può descrivere veramente la delusione e il dolore di un bambino che vede volar via per sempre il suo palloncino in mezzo ad una folla festante?

Lunghissimi fili, luminosi come fuochi artificiali nel cielo notturno, sono anche impressi nelle numerose foto d’epoca della II Guerra mondiale – e in particolare della battaglia di Bengasi (1942) all’Oasi delle due Palme – che mio padre riuscì a portare a casa al suo avventuroso rientro da quella guerra sciagurata e devastante. Ma non erano giochi di luce; si trattava di proiettili sfreccianti nell’aria per portare morte e devastazione nei poveri villaggi delle popolazioni indigene ignare ed inermi. Già, la volontà di potenza, il predominio, l’imperialismo dominanti… Allora come oggi per iniziativa di certi governi scellerati questi atteggiamenti arrecano insanabili ferite alla sovranità dei popoli e alla loro incolumità, piuttosto che favorire la pacifica cooperazione e lo sviluppo delle nazioni. Fiori di fuoco provenienti dalle traiettorie missilistiche sono anche quelli che proprio in questo momento stanno devastando interi quartieri di fiorenti città dell’Est europeo. E dallo schermo televisivo – come da un oblò – si vede la disperazione diffondersi tra le strade mentre i palazzi sono colpiti dai missili e il cielo è oscurato dalle nubi grigie sprigionate dai materiali che bruciano un po’ dovunque tra la costernazione della gente.

Quanti insulti all’ambiente – che aumentano a dismisura i già compromessi livelli di CO2 – vengono perpetrati da persone senza scrupoli, non solo in guerra, anche per futili motivi, come può essere ad esempio una festa di compleanno. Celebrare oggi l’anniversario della propria nascita con fuochi pirotecnici, per aderire ad una consuetudine consumistica d’oltre oceano che va diffondendosi sempre più, è pura arroganza, smaccata vanteria e sfrontatezza da parvenu. E’ ignorare volutamente i bisogni di una natura già messa in ginocchio dalla crisi climatica: è disturbare il ciclo vitale degli animali domestici e di quelli selvatici, spaventati dal rumore e dal calore delle esplosioni. Per non dire del pericolo degli incendi provocato dalla caduta di residui di carta e plastica ancora accesi, che possono innescare roghi difficili da estinguere e richiedere l’impegno di persone che rischiano la vita per ripristinare una certa normalità.
Come se non bastassero gli incendi diffusi da una sorta di terrorismo estivo, che ritorna anno dopo anno sempre più minaccioso ed inquietante. A chi giova devastare il territorio? Mi rifiuto di credere che queste scelleratezze avvengano soltanto per superficialità, per il classico mozzicone di sigaretta abbandonato nell’erba secca. Ci deve essere qualcuno o qualcosa che ha tutto da guadagnare dalla destabilizzazione economica provocata in Italia e in Europa dagli ingenti danni da incendio, innescati da personale caso mai assoldato proprio a questo scopo. La molteplicità ed il posizionamento tecnicamente efficace dei numerosi inneschi fanno pensare secondo me ad un disegno eversivo ben preciso. Cui prodest? E’ l’interrogativo di Seneca nella Medea (Cui prodest scelus, is fecit. a.III, vv. 500-501). Il delitto lo commette colui al quale esso giova: colui che sa di poterne trarre vantaggio.

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