Il violino che viene dal mare

Nella Casa di reclusione di Milano-Opera, che è la più grande struttura carceraria italiana con i suoi circa 1400 detenuti, da tempo si costruiscono violini con il legno delle barche in disuso. E’ un legno accarezzato dalle onde, cotto e stinto dal sole, ammorbidito dal sale: un legno che ha ascoltato il canto delle Sirene che avvinse Ulisse più delle catene con cui i compagni lo avevano legato perché – rapito da quelle voci – non si gettasse in mare per raggiungere le mitiche creature. La materia prima utilizzata nel laboratorio di liuteria del carcere è costituita dalle fasce di legno dei barconi affondati, che spesso il mare conduce dolcemente a riva dopo averle ripetutamente fracassate sugli scogli. A quel punto le assi vengono raccolte dai volontari, selezionate dagli esperti e accuratamente adattate dai detenuti con l’utilizzo di piccole presse meccaniche fino a realizzare la forma perfetta delle dolci curve del violino, aggiungendo pezzo per pezzo ogni altro elemento necessario a produrre l’assoluta perfezione del suono di questo strumento.

Il laboratorio di Liuteria di Opera è un progetto della Fondazione Casa dello Spirito e delle Arti dal 2012, anno di nascita della Fondazione stessa, sotto la guida di prestigiosi maestri dell’Istituto Stradivari di Cremona e sostenuto dalla Regione Lombardia. In esso si compie da anni una vera e propria storia dell’arte, perché non solo vengono creati violini pregiati, ma si dà vita e significato al tempo della detenzione e si costruiscono le basi per un efficace reinserimento sociale e professionale, a norma dell’art. 27 della Costituzione Italiana. Infatti, l’obiettivo finale è l’inclusione sociale e lavorativa delle persone in stato di marginalità. Accanto alla liuteria opera anche una falegnameria sotto la guida di Francesco Tuccio: il falegname che ha realizzato la Croce di Lampedusa con legni di barconi affondati. Qui si impara l’arte della lavorazione del legno non solo per creare i violini ma anche i presepi, simboli di rinascita. Si realizza così un’unione ideale tra persone migranti e persone detenute, che insieme costruiscono un segno di speranza e di rinnovamento non solo per i credenti ma per tutti gli uomini di buona volontà. Un laboratorio di liuteria è una straordinaria opportunità che può creare veri e propri professionisti dell’arte di realizzare strumenti musicali, così come è stato per Fabrizio Fornara, a lungo impegnato nella formazione delle persone detenute, con la collaborazione dei famosi maestri liutai di Cremona, tra cui Edgar Ross.

Mai arrendersi al male, dunque, se in un luogo estremo come un carcere può risuonare la voce del mare attraverso l’Opera delle sapienti mani di geniali artigiani. In proposito, echeggia sempre attuale il monito del poeta-sacerdote David Maria Turoldo: Nessun uomo osi uccidere la speranza anche nel più feroce assassino, perché ogni uomo è un’infinita possibilità. C’è infatti una misteriosa provvidenza anche nelle spine. Del resto i violini, pezzi unici, frutto di ore di sapiente lavoro artigianale (per creare un violino sono necessarie più di 300 ore di lavoro) nascono per emozionare le persone con la forza suadente della musica. Uno dei violini realizzati nella Liuteria è stato trasformato da Jannis Kounellis – padre dell’arte povera, uno dei più grandi artisti contemporanei -in un’opera di grande testimonianza civile. E le prospettive si moltiplicano a dismisura se, attraverso i concerti realizzati con i violini prodotti in carcere e suonati da giovani talenti dei vari Conservatori italiani, si intende continuare a sensibilizzare emozionando le platee. Alcuni violini prodotti dalla Liuteria sono stati donati al Conservatorio di Milano: consegnati a bambini e ragazzi in difficoltà e a loro coetanei di etnia rom titolari di borse di studio, che in questo modo hanno coperto integralmente le spese da loro dovute presso l’istituzione. È l’ennesima prova che la creatività culturale produce spesso luminosi effetti ‘a cascata’ nella società civile.

Le notizie di questi ultimi giorni vanno purtroppo in tutt’altra direzione. Nessun progetto, nessuna soluzione si prospetta da parte degli organismi nazionali ed internazionali per salvare la vita dei nostri simili – ormai privati di dignità – ridotti a mendicare un’esistenza appesa al fragile, colpevole filo dell’altrui indifferenza. La lacunosa e faticosa ricostruzione dei fatti recentemente accaduti allo Steccato di Cutro (Kr) rivela particolari sempre più inquietanti, che dimostrano quanto possa essere assurda, profondamente ingiusta e contraddittoria la realtà che stiamo vivendo, tra sfide epocali che l’umanità non ha mai affrontato prima nella sua storia. E c’è ancora chi, in questa condizione di estrema precarietà esistenziale continua a nutrire mire espansionistiche; si illude ancora di riportare il mondo allo status quo ante del secolo scorso, quando la Germania era separata da un muro lungo più di quaranta chilometri e la città di Berlino miseramente divisa in due.

Ma se è vero che un cuore affranto si cura con l’udito, lascio la parola a Pier Paolo Pasolini, mirabile autore di un testo di struggente bellezza – musicato e cantato da Domenico Modugno – che fa da colonna sonora all’ultimo episodio del film “Capriccio all’italiana”, con Totò e Ninetto Davoli. Il titolo del brano, denso di riferimenti filosofici sul senso della sacralità della vita, è: Cosa sono le nuvole.

Che io possa essere dannato

se non ti amo. E se così non fosse

non capirei più niente.

Tutto il mio folle amore lo soffia il Cielo…

Ah, malerba soavemente delicata

di un profumo che dà gli spasimi…

Il derubato che sorride ruba qualcosa al ladro,

ma il derubato che piange ruba qualcosa a sé stesso.

Perciò io ti dico: “Finché sorriderò tu non sarai perduta”.

Ma queste son parole e non ho mai sentito

che un cuore affranto si cura con l’udito…

Il soffio del cielo è una chiara metafora dell’anima, mentre i versi sublimi dedicati al derubato sono ispirati a quanto scrive Shakespeare nell’Otello riguardo all’abitudine di piangere su un male passato, che sarebbe il mezzo più sicuro per attirarsi nuovi mali. Come dire che nella vita bisogna mettere le priorità al posto giusto. Il film ‘Capriccio all’italiana’ uscì nel 1967 e fu l’ultima fatica di Totò, che morì pochi mesi dopo. Indimenticabile la scena finale in cui le due marionette Totò e Ninetto-Otello, gettate in discarica insieme a cumuli di spazzatura dal distratto Modugno-operatore ecologico, osservano il cielo e si incantano a guardare le nuvole, mentre Totò pronuncia le sue ultime battute da attore: “Straziante, meravigliosa bellezza del creato…”

Non diversamente dovremmo dire noi contemplando il mare in tempesta delle coste calabre, che in questi giorni restituisce cadaveri e brandelli di barconi spezzati dalle onde della nostra indifferenza. Qualcuno dice che col problema degli immigrati siamo arrivati alla frutta; io direi piuttosto alla monnezza.

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