Una baita in città

In uno di quei giorni in cui l’umore, non so perchè, decide di andarsene in giro per i fatti suoi e di lasciarmi a casa da sola, e a quanto pare anche senza troppo buon senso, in un momento di follia mi trovo a pensare a chi poter chiamare per avere notizie a proposito di un negozio o di un qualche sito online su cui poter comprare un piccolo stralcio di felicità!

Ma lo so, avrei in risposta solamente una fragorosa risata, o, al massimo, un sospiro di condivisione, e quindi di certo eviterò di fare questa richiesta a chiunque.

Oggi, si sa, è possibile trovare con un semplice click sugli svariati siti on line qualsiasi cosa, anche la più eterogenea e stravagante, ma non vi è invece traccia di qualcosa che possa appagare il nostro stato d’animo quando siamo pervasi da un’improvvisa e forse ingiustificata sensazione di tristezza.

Certe cose, quelle davvero utili in modo silenzioso ma essenziale, non solo non sono in vendita, ma sono anche difficilmente reperibili. Viviamo praticamente in uno stato di benessere solo apparente, in una società caratterizzata dalla velocità impostaci da ogni parte oltre che da un forte individualismo; una società che in quanto tale non riesce ad appagare le esigenze più profonde e sostanziali , anzi spesso le mortifica.

Così, alla luce di queste considerazioni e nel perdurare dello stesso stato emotivo, ho iniziato a pensare all’esistenza di una botteguccia in un angolo intimo della città, un luogo piccolo e carino in cui accogliere e far sostare chi dovesse aver bisogno di qualcosa di indefinito: una parola, un sorriso, una poltroncina su cui riprender fiato o su cui stare tranquillamente a parlare con se stesso o a riflettere, un luogo in cui sentirsi al sicuro, o sentirsi uno in mezzo ai tanti, in modo autentico e senza inutili confronti esteriori.

Una botteguccia come un hotspot, di quelli allestiti per ricevere provvisoriamente gli immigrati che arrivano da lontano sulle nostre sponde, ma creato, questa volta, per accogliere noi altri, sia pure idealmente, troppo spesso naufraghi sulla terraferma della nostra società, tra gli scogli del cuore di tante persone incapaci di assicurare approdi confortevoli per chi cerchi un riparo emozionale.

O ancora, una botteguccia che avesse le stesse caratteristiche di una baita di montagna, cioè un posto che ha del magico, che sia in mezzo ad un bosco o in città, dove ritrovarsi per ritemprarsi, tra persone che condividono le stesse passioni per la natura, per la bellezza che intorno regna sovrana, per allontanare da sé ogni peso o semplicemente per riprendere fiato.

Insomma sarebbe bello saper essere, noi tutti, all’occorrenza confortevoli e consolanti come lo sono le baite sulle salite impervie delle montagne, per essere d’aiuto per chi in un determinato momento si senta mendicante di umanità, di comprensione, di parole non urlate. E riservare ascolto, incoraggiamento o condivisione di esperienze speculari, che hanno il potere di ridimensionare il malessere momentaneo di ciascuno. Saper dare e parlare di poesia, l’unica che consente di scorgere il bello che è intorno a noi, come anche il dolore altrui da cercare di alleviare, perché solo “i poeti non guardano, ma vedono”.

Basterebbe in poche parole maggiore accoglienza, disponibilità di dialogo, capacità di uscire dal proprio individualismo e sapersi mettere in sincrono con i sentimenti altrui, riuscire a percepirli per non calpestarli.

Sarebbe insomma come metter su un gioco di squadra contro l’aridità e le intemperie della vita e provare a muoversi tutti insieme in modo azzardato ma con la stessa abilità e la complicità adoperate in cielo dalle frecce tricolori che, compiendo singolarmente acrobazie sincronizzate, creano nell’insieme una coreografia avvincente che sa dare il senso dell’unità e dell’appartenenza consapevole e voluta.

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