IL CORSIVO – Femminicidi. Ora serve una “guerra culturale”

Non giudichiamo. Piuttosto agiamo. La tragedia di Giulia Cecchettin ha dell’incredibile. Una vita spezzata nel fiore degli anni. Mentre altre ragazze e altri ragazzi discutono la tesi di laurea presso la sua Università, lei è assente perché Filippo, l’ex che non si era rassegnato alla fine della loro storia, l’ha fatta scomparire. L’ha uccisa, si scoprirà più tardi. Una vicenda assurda, non soltanto profondamente dolorosa. Anche per questo, oltre alla pietà, da un capo all’altro del Paese si respira tristezza. E rabbia.
Ma adesso non fermiamoci a giudicare. Piuttosto agiamo. L’azione non può esaurirsi nella nuova e più severa legge che sarà varata mercoledì. Ha detto bene il ministro della Giustizia, che della materia di sicuro s’intende. “Le leggi sono tutte utili, però nessuna è risolutiva”.
Il femminicidio sembra essere ormai diventato la moda preferita dei maschietti d’un certo profilo psicologico: “Lei non vuole più stare con me, la uccido”. Una sintesi esistenziale aberrante, mostruosa.
Tutto molto scontato. Perciò è inutile, aberrante, altrettanto mostruoso starsene ora a giudicare Filippo, o comunque si chiami un qualsiasi altro maschio che in questo preciso istante sta meditando di uccidere una delle tante Giulie che popolano le storie drammatiche della nostra varia umanità.
Adesso non è più il tempo del giudizio. Nemmeno una sola ora va perduta per impancar processi morali a tutto quanto è accaduto a Giulia e altre cento e più vittime della furia femminicida contate dall’inizio dell’anno. Adesso basta. Basta con le parole, basta con la retorica. Serve l’azione individuale e collettiva.
Agire significa modificare radicalmente il nostro comportamento. Significa non girare la faccia dall’altra parte dinanzi all’orrore, magari tacitando la nostra coscienza con quattro lacrime. Non servono più nemmeno le lacrime. Agire significa aiutare le potenziali vittime ad uscire dal silenzio e denunciare. Significa aprire su tutti i fronti, cominciando da quello maschilista, una “guerra culturale” capace d’incidere sulla mentalità padronale fuorviata nel rapporto uomo-donna. Significa educare i ragazzi all’orgoglio del rispetto verso le donne. Significa, anche e soprattutto, educare a capire in tempo utile i “segnali spia” di quanto potrebbe accadere.
Agiamo. Cominciamo a farlo subito dalla manifestazione di sabato. Con la consapevolezza, però, che non basta una giornata di testimonianza ancorché sincera e profonda. Serve il salto culturale dei comportamenti. Insieme possiamo e “dobbiamo” farcela.

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