Colleziono emozioni

Come sempre, mi capita di riuscire ad avvertire la pienezza di ciò che mi circonda solo in pochi momenti, come ad esempio quando sono alla guida della mia macchina, perché solo allora, scivolando via lo stress da lavoro o quello conseguente ai troppi impegni quotidiani, riesco a vivere con consapevolezza i luoghi che attraverso, soprattutto se la primavera comincia a bussare alle porte.

Sono i momenti in cui colleziono emozioni.

Così nel recarmi in una frazione di Avellino presso l’abitazione di un cliente, mi succede di notare i ponti autostradali che mi sovrastano, le macchine e i furgoni in movimento, le strade provinciali che si intersecano, costeggiate dal verde che rinvigorisce e da un cielo che quasi con prepotenza decide, quel giorno, di non cedere al grigiore ed anzi di illuminarsi di azzurro. Ed io ne sono colpita, perché capisco che non assisto semplicemente ad un intersecarsi di strade ed auto, quanto piuttosto ad un insieme di attività, di speranze, di propositi: insomma sto osservando tante vite umane in movimento, dense ciascuna di sogni o di opportunità, tutte consapevolmente in viaggio, come me, verso una meta.

Eppure un attimo dopo provo un senso di impotenza e di disappunto. Mi viene infatti da pensare a quanti invece sono costretti a vivere il loro quotidiano, o i loro ultimi giorni, o, per la giovane età, il loro tempo migliore, calpestati e violentati da una guerra ingiusta e incomprensibile. Lì non vi sono più strade o ponti che si intersecano, non vi sono giovani mamme capaci di raccontare fiabe ai loro piccoli, non vi sono auto libere di circolare e portare i beni di prima necessità alle popolazioni stremate dalla fame. Non ci sono più sogni da sognare e il cielo ogni giorno di più assume solo il colore delle macerie. Lì, dove “a furia di occhio per occhio, sono tutti ciechi” (Gandhi).

Prendo atto così che la “pace” è una parola di difficile comprensione e applicazione, in alcuni luoghi soprattutto. Di certo è ovunque un concetto che sa tanto di precarietà, dal momento che anche dove non si imbracciano armi, si è pronti a farla saltare anche per futili motivi, come mi mostra ogni giorno anche il mio lavoro.

Intanto nella moltitudine dei vari pensieri che si sovrappongono, arrivo a destinazione e mi rincuora non solo aver potuto osservare lungo il tragitto la vita che mi scorreva intorno, ma anche trovarmi di fronte proprio quell’uomo, alto e grosso, dallo sguardo stanco ma buono, dalle mani callose e sporche di terra ma che mi parlano di sacrifici e di onestà.

Probabilmente nessuno è in grado di percepire davvero fino in fondo quanto siamo fortunati nel poterci concedere impulsi, nel poter anche solo osservare l’ondeggiare dei rami degli alberi smossi dal vento di primavera, sentire il loro fruscio invece del suono di sirene, nel poterci dedicarci al nostro lavoro, poco importa che sia fatto di dure zolle di terra da vangare o di parole e leggi da cercare e fare applicare, nel poterci chiudere, ogni tanto, nel silenzio ovattato delle nostre mura.

Siamo dei privilegiati, perché ancora ci è dato vivere e collezionare fragilità, emozioni, sentimenti, passioni, non solo cose e macerie.

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