Luce e poesia

In tutte le case di qualsiasi parte del mondo, nessuno ne è consapevole, eppure c’è sempre qualcosa di speciale, una poesia non ancora letta e apprezzata, una luce particolare che illumina ogni angolo oscuro, finché lì ci abiterà una mamma, giovane o anziana che sia, sana o in un letto malata; una luce che poi svanirà quando lei definitivamente andrà via.

Io credo che se un giorno sul nostro pianeta non vi fossero più le mamme, quelle autentiche, capaci di ogni cosa pur di proteggere dai pericoli e dal male i propri figli, sarebbe un po’ come vivere senza gli alberi e le loro radici, quindi senza ossigeno, senza linfa, ma soprattutto senza riparo, dalle frane e dalle intemperie, sarebbe, in altri termini, un mondo senza poesia.

Soprattutto in questi tempi in cui la società vive troppo di fretta e di guerre, e spesso solo in superficie, senza riuscire ad arrivare mai in profondità, non solo delle cose, ciò che manca è lo sguardo sulle persone, lo sguardo di chi vuole vedere quel che è celato, a volte sofferente e bisognoso d’aiuto al di là delle apparenze, uno sguardo che percepisca l’anima e trapassi qualsiasi maschera, insomma quello sguardo magico di una madre capace di sentire ogni battito e a cui nessuno riesce mai a nascondere ciò che di doloroso ha in fondo all’anima.

Ho raggiunto da tempo, ma, in realtà, solo da quando sono diventata anche io una mamma, la consapevolezza che il dono più prezioso che un figlio possa ricevere dalla vita, non è tanto il venire al mondo, quanto piuttosto il poter vivere in una famiglia in cui vi sia il calore di una madre; non importa che sia perfetta o la migliore, ciò che conta è che, anche con i suoi difetti, sia lì a prendersi cura del bambino, sia presente nella sua crescita, per stimolarlo, rimproverarlo se serve, proteggerlo ogni giorno da tutto, sostenerlo nelle difficoltà, in una parola per insegnargli ad alfabetizzare emozioni e relazioni, seminando intanto impronte di amore, importanti, dal momento che, si sa, solo “un bambino amato diventa un adulto che sa amare”.

Io ne ho visti di uomini cresciuti lì dove quella luce speciale è stata spenta e la poesia letta troppo presto: hanno gli occhi tristi, perché colmi solo di responsabilità che non hanno potuto condividere ma di cui si sono dovuti far carico ancora piccoli, o perché dotati di insufficienti provviste di abbracci e di sicurezze e privati di quell’inconsapevole spensieratezza che si ha quando si torna quotidianamente in un porto sicuro illuminato sempre dallo stesso faro luminoso.

E allora, in vista della ricorrenza prossima del 12 maggio, il mio augurio intendo rivolgerlo piuttosto a tutti i bambini, ai quali dico: che Dio protegga la vostra mamma il più a lungo possibile, che vi lasci il tempo di litigare e scontrarvi ancora a lungo con lei. Ma poi abbracciatela, amatela, ascoltatela, perché sarà difficile trovare altrove una presenza costante e fidata come la sua; lei che, fino all’ultimo suo respiro, vorrebbe sorreggere ogni vostro peso, tenere unito ogni anello della medesima catena, lei che sussulta e prega per qualsiasi ambulanza che passa, per ogni vostra caduta o delusione, o per i vostri sogni non ancora realizzati.

Dunque che siano preservate le mamme, almeno fino a che non siano riuscite a trasmettere, attraverso le loro impronte, la capacità di amare, di rispettare, di illuminare, di camminare da soli nella giungla della vita senza troppi graffi.

Forse unicamente allora si dovrebbe spegnere quella luce che era sempre accesa e sarà allora il momento in cui si cercherà la “poesia” mai letta che c’era nelle parole, nei comportamenti e in ogni traccia lasciata dalla mamma in quella casa.

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