AUTISMO \ ORMAI SOLTANTO UN SUSSURRO

Discutere di una questione quale quella sollevata dal “caso” della bocciatura, in una scuola di Taranto, di un ragazzo autistico impone tutta la particolare attenzione che la delicatezza della vicenda richiede.
L’indignazione, della quale Franco Genzale si fa accorato ed attento interprete, attraversa diffusamente tutta la collettività. E non potrebbe essere diversamente perché immediatamente si è percepito, al semplice apparire della notizia, che ci si trovava di fronte ad un comportamento rozzo e grossolano. Stridente rispetto al più elementare sentimento umano. Di impatto decisamente lacerante sulla coscienza collettiva di una società che si dice certa di avere incardinato gli elementi fondamentali della morale e del diritto su solidi concetti di civiltà.
L’indignazione, dunque, è unanime ed indiscussa.
E però, la questione merita delle approfondite considerazioni. Ciò perché va evitato lo scadimento di tutta la faccenda in una sterile e vanificante lamentazione. Cosa più che possibile nel momento in cui intorno a questa gigantesca e dolorosa questione, quella del “problema autismo”, si affastellano discorsi inadeguati, scorretti scientificamente, spesso qualunquistici e perciò stesso estremamente pericolosi. Atteggiamenti che vanno – questi sì, decisamente – ad inficiare o addirittura a sviare gli eventuali approcci adeguati ed utili alla causa.
Che l’approccio al problema sia un po’ dovunque, in tutto il nostro Paese, assolutamente inadeguato, risultando nel migliore dei casi (cioè quando esiste) raffazzonato, parziale, frammentato, contraddittorio è ben noto a tutti gli addetti ai lavori. Lo è certamente a tutti coloro che hanno le adeguate competenze tecniche e la giusta e corretta visione del problema. Della sua patogenesi, ma anche e soprattutto della sua complessa articolazione e dinamicità. Come è proprio di tutti i problemi che prendono in considerazione l’esistenza di un individuo. E la vicenda in questione ne è una chiara testimonianza.
Che l’approccio a siffatta questione, poi, risulti assolutamente ridicolo e finanche devastante qui, nel territorio irpino, è un altro dato di fatto. Ed è forse il caso che si dica qualche cosa al riguardo. Ma andiamo con ordine.
In merito alla questione oggetto della cronaca recente, va detto che esistono delle norme (sicuramente discusse da più parti, ma chiare) che regolano il comportamento che deve tenere la scuola allorché si fa carico della presenza tra i suoi alunni di un ragazzo autistico. È previsto un PEI (Piano Educativo Individualizzato) che traccia, attraverso diverse ipotesi di intervento, le linee del percorso al quale va avviato il singolo ragazzo. Viene da pensare, per quanto concerne il caso della scuola tarantina, che il collegio dei docenti difficilmente si sarebbe fatto carico della clamorosa responsabilità di ignorare le direttive previste dalle leggi vigenti e, quindi, dal piano personalizzato (che, tra l’altro, dovrebbe essere stato concordato con i genitori del ragazzo). Quindi, probabilmente l’istituto scolastico in questione ha agito nel rispetto delle norme. Ma resta comunque lo sconcerto di un atto grave sul piano umano, dal quale sembra che il ragazzo – per niente preparato a tale evento – sarebbe rimasto quasi scioccato. In conseguenza di ciò, resta in noi tutti la notevole perplessità per il comportamento schizofrenico tenuto dalla scuola. Perché, se è vero che i docenti di Taranto hanno assunto decisioni legittime, ci si chiede come è mai possibile che si sia arrivati a consumare un simile dramma. A bocciare sonoramente un ragazzo al quale si è fatto intanto compiere un certo percorso di studio. Lo si è fatto arrivare al terzo anno delle superiori. Per poi bocciarlo? E la bocciatura era prevista dal PEI? E, se sì, quale altro PEI era stato precedentemente elaborato, per questo sfortunato ragazzo, che lo ha fatto arrivare ad un certo livello di una scuola superiore? E chi lo aveva eventualmente elaborato, questo precedente piano? I medesimi insegnanti? O quelli di un’altra scuola? E, se pure fosse, come è possibile che un’istituzione importante e decisiva nella vita di una persona, peraltro così particolarmente delicata, agisca con la disinvoltura manifestata in questo caso? Come è possibile che la scuola operi in dispregio dei più elementari valori di umanità e di civiltà? Quella scuola che avrebbe il compito di educare i giovani. Quella scuola che spesso e volentieri, a proposito e a sproposito, chiamiamo in causa e alla quale attribuiamo un ruolo formativo di primo piano per le nuove generazioni.
L’indignazione è giustamente unanime e sacrosanta. E fa male pensare che, ancora una volta, il sistema ha brutalmente voltato le spalle ad una creatura indifesa, fregandosene altamente del suo stupore e del suo dolore.
Questo episodio – dicevo – è una chiara conferma del pressappochismo e della confusione che regna nel governo dei servizi sociosanitari, in generale, e del problema dell’autismo, in particolare. Pressappochismo e confusione che regna sovrana, naturalmente, anche qui in Campania. E ancor di più in Avellino.
Forse ci sarà, in futuro, un giorno in cui si siederanno intorno ad un tavolo persone capaci e corrette per discutere di questo problema gigantesco che, tra l’altro, è in decisa e continua crescita da qualche decennio a questa parte. Forse ci sarà un giorno in cui la politica si sentirà costretta a prendere in seria considerazione la questione. Forse ci sarà – anche questo va detto, e con forza! – un giorno in cui gli operatori tecnici del settore, psichiatri e riabilitatori in testa, decideranno che è loro preciso dovere tracciare profili di interventi sociosanitari corretti scientificamente ed onesti intellettualmente. Forse ci sarà quel giorno.
Intanto, però, almeno una cosa va detta, perché fotografa impietosamente tutta la grave inadeguatezza che si vive intorno al problema autismo. Da parte di tutti. Familiari compresi.
È da una vita che si rincorre la questione del Centro per l’autismo di Valle. Tutti i pensieri sono convogliati in quella direzione. Ancora in questi ultimi giorni mi è capitato di ascoltare interviste, a questo e a quello, centrate sul problema della struttura di Valle ancora in alto mare e, conseguentemente, del diritto alle cure negato ai pazienti. Pazienti che erano ragazzi quando si cominciava a parlare dell’apertura di questo Centro e che ora sono diventati adulti. Genitori, efficaci e vigorosi allora, che lamentavano già venti anni fa i gravi ritardi e che ora sono invecchiati. Come è invecchiato il problema. E noi stiamo ancora oggi a discutere della struttura che resta impietosamente chiusa. Ancora oggi preghiamo speranzosi e siamo in attesa che qualcuno (il comune di Avellino? l’Asl? Babbo Natale?) provveda a completare l’immobile in questione e ad aprirlo all’utenza. Ancora oggi? Fermi e decisi su quest’unica rivendicazione. Dopo quasi trent’anni! Trent’anni di delinquenziale strafottenza da parte delle istituzioni, ma anche trent’anni di dabbenaggine (dispiace dirlo, ma è proprio così) da parte di chi si è fatto prendere nella trappola della mistificazione, per cui è rimasto in attesa – a volte turbolenta, a volte finanche placida e rassegnata – di un accadimento ignominiosamente sbandierato come salvifico.
Ma qualcuno si è mai preoccupato di chiarire che si sta rincorrendo un falso problema? Qualcuno ha mai pensato di spiegare ai familiari degli autistici che si sta inseguendo la fata morgana? Qualcuno ha mai suggerito ad essi di aprire gli occhi e la mente sulla mistificazione consumata? Perché un contenitore non può mai valere un contenuto. Come è possibile che ci si lasci fuorviare e che ci si ponga in attesa dell’apertura di una struttura (che appare sempre più improbabile) senza rendersi conto che si sta rinunciando a rivendicare, invece, i servizi assistenziali? Servizi che si possono erogare altrove. In altri luoghi e in altre strutture. Come l’Asl di Avellino ha fatto, per esempio, nel bene o nel male che sia, in Alta Irpinia.
Ancora oggi – dicevo – mi capita si sentire questa solfa del Centro di Valle sbandierato come l’emblema dei diritti negati. Ancora oggi! Dopo che è trascorsa un’eternità. Un tempo troppo lungo, che ha affievolito il grido di tante giovani vite che rivendicavano un sacrosanto diritto. Grido oramai ridotto soltanto ad un rassegnato e dubbioso sussurro.

I commenti sono chiusi.