Il volto della felicità

Chissà se la presenza nel mondo delle guerre attuali che, peraltro, invece di trovare la strada della pace, si moltiplicano ed arrivano persino alla minaccia nucleare, svolge anch’essa un ruolo determinante sull’umore di tutti noi pur non coinvolti direttamente nelle stesse, ma già segnati dalle nostre difficoltà quotidiane, a volte sostanziali, a volte, in fondo, irrilevanti.
Nel camminare in città, stanca ed accaldata in un pomeriggio di giugno per compere necessarie, osservo la gente che incrocio o con cui interagisco, e avverto spesso i problemi che l’angustiano o che mi vengono raccontati. È strano come, nonostante abbiamo il privilegio di non dover sentire il cupo suono delle sirene antiaeree o di doverci riparare all’improvviso in rifugi sotterranei, viviamo oramai con un senso di angoscia che ci accompagna e che non ci fa vivere appieno, sebbene sia probabile che ciò dipenda anche dall’età non più giovanissima e, quindi, dai problemi da noi accumulati nel tempo, e non, invece, solo dal momento storico che si sta attraversando.
Eppure io le ho viste le persone felici! Mi è capitato di incrociarle proprio in un pomeriggio estivo e afoso, ed è stato per me un po’ come un richiamo, un’esortazione, un invito ad una riflessione più profonda.
Confesso: a volte mi sembra di non ricordare più nemmeno cosa sia la felicità e che aspetto abbia. Ma poi incrocio una ragazzina, sicuramente affetta da una grave malformazione che, è evidente, non la farà crescere del tutto né in modo armonioso e che la costringe a camminare con l’aiuto delle stampelle, oltre che scortata ai lati dalla mamma e da un’altra signora.
Ebbene, nonostante i passi pesanti e lenti, l’ho vista felice, forse perché finalmente poteva passeggiare, sia pure faticosamente. E per farlo aveva indossato un vestito colorato, e aveva messo del rossetto sulle giovani labbra, affinché chiunque la guardasse, soffermasse il suo sguardo sui colori gioiosi che aveva addosso e sul viso e non sul grigio delle stampelle. Era visibilmente felice di essere al mondo, di essere tra la gente, di guardare le vetrine, incontrare persone, sentire qualche musica uscire dalle porte aperte di un negozio, chiacchierare in modo ameno con le accompagnatrici, sentire le rondini garrire rumorose nel cielo azzurro che sovrasta il Corso della mia città. Era semplicemente felice quella ragazza. Era evidente che non dava alcun peso alla sua conformazione fisica visibilmente diversa da quella delle altre ragazzine. Non dava alcun peso alle disabilità, presa com’era dall’essenziale: essere al mondo e poter camminare, in un modo o in un altro, essere in compagnia e sorridere alla vita, perché il peso lo portavano le stampelle, ma a lei sembrava di volare quel pomeriggio.
Quanti motivi ci sarebbero per mettere da parte i pesi che ci portiamo dietro, per vivere ogni nostro giorno con maggiore consapevolezza e gratitudine, godere di quel che si ha invece cha andare a caccia del niente.
È importante, secondo me, avere uno sguardo sugli altri: c’è sempre qualcosa da imparare, da ricordare a noi stessi, da capire. Ci insegna, ad esempio, che non si può vivere continuamente ormeggiati ai nostri dolori, bisogna sciogliere i propri ormeggi, e sorridere, magari quando il vento ci porta, semplicemente, il profumo d’estate, fatto di caprifogli e di rose.
I commenti sono chiusi.