Omicidio Gioia, la confessione di Giovanni: “L’ho accoltellato perchè non voleva che stavo con sua figlia”

Nell'ordinanza di fermo del procuratore Vincenzo Russo i dettagli della folle e tragica nottata di Corso Vittorio Emanuele, in cui Elena e Giovanni hanno ucciso il padre di lei. L'omicidio era stato pianificato nei dettagli dalla domenica precedente, ma entrambi da tempo lo programmavano con l'intenzione di compiere una strage. A smascherarli, una tessera sanitaria

“Ho accoltellato il padre della mia ragazza perchè non voleva che stavo con sua figlia”: poche concise parole quelle della confessione rilasciata nell’immediato dell’arresto, da parte di Giovanni Limata, il 23enne di Cervinara detenuto in carcere per aver ucciso con sette coltellate il padre della sua ragazza, il 53enne Aldo Gioia. Nell’ordinanza di fermo firmata dal procuratore Vincenzo Russo emerge il racconto della folle e tragica serata di questo venerdì sera.

Un omicidio premeditato, quello dai due fidanzati, progettato negli ultimi mesi ma pianificato nei dettagli la scorsa domenica 18 aprile. E’ stato Giovanni a proporle di scappare insieme, solo dopo però “averla vendicata”, testuali parole utilizzate dal ragazzo, che ha già diversi precedenti per spaccio e violenza e una storia di profondo disagio sociale in famiglia.

I genitori di Elena, Aldo Gioia e Liana Ferrajolo, non avevano mai accettato la relazione della figlia Elena con il ragazzo, una vicenda che era diventata la causa di continue discussioni familiari.

E così domenica scorsa i due decidono di mettere in atto il piano che stavano progettando da diversi mesi. La testimonianza è nelle conversazioni telefoniche estrapolate dai loro cellulari, acquisiti dalla polizia dopo l’arresto, in cui è lei che appare l’ideatrice del piano, chiedendo ripetutamente a Giovanni di vendicarla e di portarla via con sè. A prendere la decisione che fosse tempo di agire, secondo il racconto di lei, è stato però lui, una volta convinto, la scorsa settimana.

Dalle chat tra i due è emerso che avevano pianificato una vera e propria strage. L’intento era quello di uccidere entrambi i genitori di lei e anche la sorella Emilia, di poco più grande di Elena. Dopo gli omicidi, la fuga d’amore.

“Mi ha fatto salire lei”, ha ancora dichiarato Limata agli agenti della polizia, confessando la complicità. Così infatti è andata. Per ammissione anche di Elena, nelle poche dichiarazioni rilasciate, in cui ha confermato la versione del ragazzo.

I fatti avvengono poco dopo le 22, all’interno dell’abitazione al civico 253 di Corso Vittorio Emanuele, nel pieno centro di Avellino. Dopo la cena in famiglia, la madre e la sorella si dirigono nelle proprie stanze, il padre invece si addormenta sul divano. Elena aveva calcolato tutto (“una pianificazione lucida e meticolosa” la definisce il procuratore) sulla base delle abitudini dei suoi, e scende di casa per gettare l’immondizia; sotto ad attenderla, il ragazzo. Lei risale in casa, lasciando la porta aperta e va a chiudersi nella sua stanzetta. Giovanni nel frattempo è entrato nel portone delle scale, scende nel seminterrato, estrae dalla fodera il suo coltello da caccia, si toglie anche il giubbotto, lasciando tutto lì. Poi sale al quinto piano, nell’appartamento di Elena, entra e inizia a colpire Aldo Gioia con una serie di fendenti. Sette colpi indirizzati al torace, il 53enne si sveglia di soprassalto, tenta di reagire, inizia a gridare, ma per lui non c’è scampo. Le sue urla, che saranno la fonte della salvezza per la moglie e la figlia Emilia, attirano tutte e tre le donne chiuse in camera; il ragazzo, che forse non si attendeva la reazione del padre con il conseguente arrivo delle donne, si spaventa e fugge, dimenticandosi di raccogliere giubbotto e fodero del coltello. Scappa a casa sua a Cervinara.

Intanto le donne, terrorizzate, chiamano polizia e 118, anche Elena fin dall’inizio finge disperazione, ma probabilmente la madre e la sorella hanno già capito tutto. I sanitari trasportano Aldo Gioia in ospedale, dove muore poco dopo, Liana e la figlia Emilia sono sconvolte, Elena parla di una tentata rapina con gli agenti di polizia. Ma i poliziotti della squadra mobile coordinati dal vice questore Gianluca Aurilia comprendono subito che qualcosa non torna, il racconto non regge, non ci sono segni di effrazione, le donne sembrano reticenti, anche se sono comprensibilmente sotto choc. I poliziotti sospettano che si tratti di una dinamica familiare, iniziano a cercare l’arma del delitto, lungo tutte le scale della palazzina ci sono tracce di sangue ovunque.

Scendendo nel seminterrato, trovano il fodero del coltello e un giubbotto. Al suo interno una tessera sanitaria con il nome di Giovanni Limata. Gli agenti di polizia non perdono tempo, si dirigono verso l’abitazione del ragazzo, che vive con i genitori a Cervinara. Dopo aver bussato trovano l’iniziale resistenza dei parenti e uno scenario di profondo disagio sociale all’interno dell’abitazione.

Inizia la perquisizione, il ragazzo nega tutto, ma all’interno di una borsetta nera da donna gli agenti ritrovano un coltello ancora insanguinato. Poi mostrano la tessera sanitaria a Giovanni, il ragazzo crolla e confessa. Poco dopo, anche lei farà lo stesso.

La madre e la sorella di lei confermano la relazione tra i due e il fatto che fosse fortemente ostacolata da entrambi i genitori. Un naturale sentimento di protezione nei confronti della figlia piccola.

Ricostruita la vicenda, per il procuratore Vincenzo Russo non ci sono più dubbi: per i due complici scatta il fermo, con l’accusa per entrambi di omicidio doloso in concorso pluriaggravato dalla premeditazione e di averlo compiuto nei confronti di un ascendente, nel caso il genitore; gli amanti folli vengono portati nel carcere di Bellizzi, in attesa dell’interrogatorio di garanzia. Nell’appartamento di Corso Vittorio Emanuele resta invece il dolore straziante di Liana ed Emilia.

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