ROMANTICA NOSTALGIA (“ERA GIÀ L’ORA CHE VOLGE IL DISIO…”)

Il momento del sole al tramonto ha una sua particolare intensità, che risveglia i sentimenti, specialmente di chi ha iniziato a navigare e che avverte una forte tenerezza pensando a ciò che ha lasciato. Il suo pensiero, infatti, vola alle proprie persone care ed agli amici che sulla nave appaiono perduti, come da colui che, allontanandosi dalla terra, si sente destinato all’esilio verso un nuovo e sconosciuto futuro.

La sua nostalgia si accresce anche se ode, in quel momento, il suono della campana dell’Ave Maria che sembra la voce di un pianto per un giorno morente.

L’introduzione all’ottavo canto del Purgatorio, letta in chiave romantica, dice mirabilmente: “Era già l’ora che volge il disio/ai naviganti e ‘ntenerisce il core/lo dì c’han detto ai dolci amici addio;/e che lo novo peregrin d’amore/punge, se ode squillo di lontano/che paia il giorno pianger che si more”.

Ma queste stesse parole di Dante consentono altresì una visione religiosa, poiché è l’ora di Compieta (l’ultima delle ore canoniche dell’Ufficio Divino, preghiera ufficiale della Chiesa per tutta la Cristianità) ed il suo inno viene qui intonato dalle anime del Purgatorio per ottenere la protezione divina contro la tentazione notturna. Queste, invero, non possono essere più soggette alla tentazione, che è un fatto terreno, poiché sono ormai fuori dalla possibilità di peccare; ma tuttavia devono egualmente subire, come loro pena espiativa, l’ansietà della lotta contro il male, che viene poi sconfitto dalla potenza divina.

Il poeta presenta la tentazione parlando del serpente; il quale ricorda quello che offrì ad Eva il frutto proibito (“forse qual diede ad Eva il cibo umano”, Purg.8°,99) e che allegoricamente può richiamare le tentazioni avute in vita dai prìncipi con il loro orgoglio e cupidigia, per cui dimenticarono la vera funzione, avuta in vita del potere sovrano di cui erano stati investiti.

La configurazione del serpente è, poi, quella, ben conosciuta, di una biscia che “tra l’erba e ‘ fior venia volgendo ad ora ad or la testa, e ’l dosso leccando, come bestia che si liscia” (Purg., ivi,100 ss.). Domina qui il ricordo biblico del Paradiso terrestre e del serpente che vi disegna la sua trama di seduzione sotto belle apparenze con cui nasconde lo scopo vero della sottesa insidia.

La sua sconfitta è però inevitabile per l’intervento dei due angeli che si levano contro la tentazione, ivi posti a guardia; di tal che “Sentendo fender l’aere a le verdi ali,/fuggì ‘l serpente” (Purg. Ivi, 106 ss.), difronte ai due angeli muniti di spade tronche (“due spade affocate, tronche e private de le punte sue”, Purg. Ivi, 26-27), non avendo esse scopo di offesa, ma soltanto di difesa.

In questo luogo, Dante s’incontra con Nino Visconti, suo amico (conosciuto in vita forse all’assedio di Caprona e certamente a Firenze). Costui era nipote del conte Ugolino della Gherardesca e fu giudice di Gallura, in Sardegna.

L’incontro fu molto gradito da entrambi, sì che non si tralasciò da loro alcuna forma di affetto e cortesia (“Nullo bel salutar tra noi si tacque”, Purg., ivi, 55). E Dante esclama “Giudice Nin gentil, quanto mi piacque/quando ti vidi non esser tra ‘ rei!” (Purg., ivi, 53-54).

Nel successivo incontro con Corrado Malaspina gli viene poi predetta l’ospitalità, che verrà data al poeta esule; il quale troverà liberale accoglienza presso questa famiglia, come quella avuta presso gli Scaligeri.

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