I MOTI DELL’ANIMA

Finché ci sono, c’è la vita
I rapporti esterni provocano gli stati emotivi, quali il coraggio, la paura, l’ira, la commozione
Nel proprio intimo si alimentano invece le passioni, tutte governate dall’istinto di conservazione dei beni della vita
L’amore e l’odio (spingono a combattere per conservare o respingere)
L’invidia (desiderio morboso di ciò che non si ha)
La gelosia (timore ossessivo di perdere ciò che si crede di possedere).
A volte gli stati emotivi o passionali rendono il soggetto addirittura non imputabile.

Ciò si verifica quando essi sono di intensità tale da provocargli uno stato di totale infermità mentale, cioè solo quando, esorbitando dalla sfera puramente psicologica, degenerino in un vero e proprio, anche se transeunte, squilibrio mentale, tale da obnubilare od attenuare la coscienza e di paralizzare “in toto” e notevolmente i freni inibitori e, con essi, la volontà (v. Cass, 22.12.1960; Cass. 6.6.1972; Cass. 4.7.1980).

Perciò, ad esempio, la gelosia, che costituisce uno stato passionale, non può di per sé incidere sulla imputabilità; ma se provoca disordini nelle funzioni della mente e perturbazioni in quelle della volontà, diventando “fuoco divoratore, forza cieca e devastatrice dello spirito”, può costituire una forma morbosa diagnosticabile che esclude o diminuisce la capacità di intendere e di volere (v. Cass. 26.1.1956; Cass. 24.2.1961).

Parimenti è da ritenere anche nel caso che la gelosia derivi da un vero e proprio squilibrio psichico integrante gli estremi di una malattia mentale v. Cass. 5.5.1976).

Ma anche senza giungere a questa patologia, la gelosia dà spesso adito al grande male, sempre più attuale, della inconcepibile violenza, sino allo sfregio del volto o addirittura al femminicidio.

I mali della gelosia “in amore” possono così sintetizzarsi:

(“Vir aemulus mulierem exagitat…”). Il geloso perseguita la donna, ma sovente è lui stesso un debole, anche se si comporta con lei da prepotente.

(“ipse somnians est…”). È proprio lui un illuso, perché teme di perdere un possesso che invece non ha.

(“Uti simulator etiam agit…”). È anche un ipocrita, perché condanna il tradimento di lei, ma poi nasconde o giustifica quello proprio.

(“In illam insolenter agit…”). È prepotente verso quella, perché pretende fedeltà, senza però meritarla).

(“Ignavis praeterea est…”). Ed è anche un vigliacco. Infatti si impone a lei con facile violenza.

(“Sed ille praecipue sceleratus est…”). Ma soprattutto è un delinquente, perché si ritiene legittimato persino ad un femminicidio,

(“qua re, ipse gaudet…”) di cui sui compiace come per un suo diritto, al sommo delle proprie perversioni.

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