Il Libro Rosso

Uno dei più bei ricordi universitari è legato ad un libro rosso; nulla a che fare con Mao, perché si trattava di un codice rosso, e tanto meno e per fortuna, con i ricoveri di urgenza.

Si trattava solo di una particolare e pregiata edizione del codice di Giustiniano, con elegante rilegatura in rosso e scritta in oro sul dorso.

Ma procediamo con ordine.

Negli anni ’60, per gli iscritti a Giurisprudenza, la preparazione agli esami si basava sullo studio dei libri di testo, e, molto raramente, soprattutto per i residenti fuori Napoli, sulla partecipazione a qualche lezione.

Nell’abituale capannello sulle scale della Federico II, l’esame era preceduto da uno scambio di informazioni, incentrate sulle domande più ricorrenti e su quelle più difficili fatte nelle sedute precedenti.

Quel giorno dovevo sostenere l’esame di Diritto Romano studiato sui testi del Professor Mario Lauria, ma, da quegli abituali contatti preventivi, sentivo parlare di argomenti, a tal punto non pertinenti, da farmi pensare di essere capitato nel capannello sbagliato.

Solo dopo una decina di minuti appresi che il Professore Lauria aveva cambiato programma e l’esame si basava esclusivamente sugli appunti presi durante le lezioni tenute in un corso di due mesi, che avrebbe replicato nella sessione successiva.

L’obbligo di frequenza delle lezioni mi diede, anzitutto, l’occasione di conoscere un uomo colto, elegante, raffinato, di grande fascino, dai capelli di colore argenteo ed arruffati alla Einstein, accanito fumatore di sigarette Xantia dal bocchino dorato.

Interessantissima la sua teoria spiegata nelle lezioni: l’esistenza di un “ordo iuris”, un insieme di norme preesistenti, “ordinate” nel codice di Teodosio e recepite in quello di Giustiniano con adattamenti alle mutate situazioni di ordine sociale, politico, o religioso.

Compito di noi studenti era individuare, recependone le fonti, questi adattamenti.

Mi ricordai allora di quel codice giustinianeo dalla rilegatura in rosso che avevo visto nello studio legale del papà di un Amico, che, con ampia disponibilità, non esitò a prestarmi.

Ero curioso di vederne la diversa impostazione rispetto ai nostri codici, senza nemmeno immaginare che quello sarebbe stato il mio elemento identificativo.

Munito di mini registratore “Geloso”, partecipai alla prima lezione, accompagnato dal mio Codice Rosso, che mostrai successivamente al Professor Lauria per un giudizio sulla pregevolezza della edizione.

Nacque, in quella sede, un sodalizio con Benedetto Carino Ricciardi, col quale mettemmo subito in atto un programma che, nella immensa sala della biblioteca dell’Università, si concretizzò nel riascolto della lezione e nella divisione dei compiti nella ricerca delle fonti.

Benedetto, col quale è rimasta una piacevole e solida Amicizia, l’avrei reincontrato, dopo una trentina di anni, come valente funzionario del Banco di Santo Spirito in sede di fusione con la Cassa di Risparmio di Roma alla quale ero approdato dopo una fortunata esperienza nel Banco di Napoli.

Tornando alle lezioni, in quelle successive, seduti nei primissimi posti, ponevamo al Professore vari quesiti, che egli dimostrò di apprezzare in modo particolare (superfluo nascondere che in noi c’era anche il desiderio di dimostrare in concreto che ci stavamo seriamente impegnando nello studio).

E fu allora che capii l’importanza di non dividermi più dal mio codice, che assunse per me un ruolo di “passepartout”.

Giorno dell’esame, vengo chiamato dall’Assistente, ma Lauria mi riconosce dal Codice Rosso e dice di volermi fare lui l’esame.

Prima che mi faccia domande esordisco chiedendo scusa se mi permettevo di esprimergli le emozioni che quelle ricerche avevano suscitato in me, quando lo avevo immaginato come il personaggio di un apprezzato romanzo di Ugo Ojetti, che si insinua nelle parole, tra le righe, alla ricerca di ciò che nascondono.

Trenta e lode, l’unico, con invito ad andare a casa sua, il giorno successivo, a prendere un caffè!

L’imbarazzo è notevole già quando dall’arco di Via Chiaia prendo l’ascensore che mi porta in una splendida casa, con vista sul giardino del sontuoso palazzo Cellamare.

Vengo accolto con la massima cordialità dal Professore e dalla moglie Adelina, studiosa di Storia delle Religioni.

Una casa bellissima, enorme, caratterizzata dalla presenza di librerie piene di volumi pregiati.

Lo salutai con la promessa di tornare a trovarlo; promessa che ribadii qualche mese dopo, quando mi riconobbe e mi fermò lungo via Roma, rendendo felice mio padre, che un infarto fulminante mi avrebbe strappato a distanza di pochi mesi.

È uno splendido ricordo, come accennavo, che ha anche una sua morale: la strada della cultura, se riesci ad imboccarla, ti fa salire, come per me è stato metaforicamente l’ascensore di Via Chiaia ed il sincero apprezzamento per quelli che la indicano, offre prospettive inimmaginabili.

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