L’ebbrezza del potere

Meglio rifugiarsi nel remoto, ma purtroppo scoprendo che da sempre sono esistite le nefandezze che nascono e si alimentano nei viventi, specialmente se intossicati dalla bramosia innata del potere, che spinge alla prepotenza.

Infatti, quanto più è grande il potere di taluno, tanto più costui è indotto a prevaricare, imporre, pretendere.

Narra Omero (come a tutti è noto) che, in piena guerra d’assedio alla città di Troia (col futile pretesto della fuga amorosa di Elena con Paride), Agamennone, capo supremo dell’esercito acheo, compiaciuto del suo “strapotere”, respinse in malo modo la supplica di Crise, sacerdote di Apollo, per ottenere, pur con congruo riscatto, la liberazione di sua figlia Criseide, da lui tenuta schiava.

Quel re, con modo superbo e tracotante, disse a Crise: “Vecchio, non far che presso a queste navi/ned or né poscia più ti colga io mai” e infine aggiunse: “Ora va, né m’irritar se salvo ir brami”…

Pertanto il vecchio sacerdote chiese vendetta al suo dio, l’arciere Apollo (“—-il pianto mio/paghino i Greci per le tue saette”), il quale adiratosi, provocò una mortale pestilenza nell’accampamento acheo, scagliandovi le sue frecce per nove giorni. Al decimo, l’invincibile Achille, su consiglio di Giunone (“la diva dalle bianche braccia, dei moribondi Achei fatta pietosa”), dinanzi al parlamento riunito dell’esercito, sollecitò Agamennone a restituire Criseide al padre (“Ma tu la prigioniera al Dio rimanda”), come suggerito dall’indovino Calcante, per così placare Apollo e far cessare il morbo che intanto decimava i guerrieri greci.

Il re, pur inveendo contro Calcante, tuttavia malvolentieri aderì, disponendo la restituzione di Criseide al padre; ma, con altra sua prepotenza, pretese, in sostituzione, di avere per sé la schiava dello stesso Achille, Briseide; cui l’eroe teneva molto e che, ciononostante. Agamennone mandò subito a prelevare dalla sua tenda.

Si acuì di conseguenza, il dissidio tra i due forti guerrieri Achei; divampò in Achille la ben nota “ira funesta” che lo indusse ad astenersi, insieme ai suoi valorosi Mirmidoni, dal combattere a sostegno dei Greci, cagionando così “infiniti lutti” per la conseguente prevalenza dei Troiani, agevolati dall’assenza di quei fortissimi avversari.

L’ebbrezza del potere, quale capo supremo, era stata, in Agamennone, così intensa, da spingerlo, come già detto, a minacciare e scacciare il sacerdote di Apollo, nonché a sfidare, provocatoriamente, persino il possente Achille, cui non esitò a togliere l’amata Briseide, tanto da farlo piangere e dover essere coccolato da sua madre, la dea Teti, accorsa appositamente dal mare.

Ma dovevano essere decisamente altri tempi, questi immaginati dal grande Omero, se le prepotenze si limitavano ad affronti come quelli compiuti dall’Atride ed a reazioni degli offesi in verità un po’ infantili.

In epoca storica, invece, si sono sempre avuti eventi di ben diversa gravità. Innanzitutto le guerre (sempre e comunque di per sé ingiuste), promosse da conquistatori bramosi di potere, con sopraffazioni di vincitori sui vinti, attuate con atrocità considerate inspiegabilmente legittime, necessarie, consentite, addirittura modalizzate con ipocrite convenzioni.

E poi, nei rapporti tra singoli, la criminosità d’ogni tipo, piaghe inguaribili dell’umanità, fatte per avere sempre di più, indebitamente accrescendo le tentazioni di poteri, ad iniziativa di taluni forse esaltati, ma tuttavia obbediti ciecamente da molti come ipnotizzati dalla loro cattiveria.

Ed ai mali patiti dai prepotenti, inebriati di potere o comunque temuti sospetti di volerli diventare, hanno talvolta fatto eco, in tempi passati, anche reazioni come il cautelare istituto pubblico dell’ostracismo o il pur sempre esecrabile tirannicidio operato dai congiurati.

Difficile è a dirsi se la Storia sia anche capace o no di ripetersi in siffatte sciagure.

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