ATRIPALDA – UN FIUME PER AMICO

Il “Sabato”, oltre che giorno della settimana che aspira al riposo o che, nel villaggio, fa sognare il dì di festa, nonché (al diminutivo) nome proprio di taluni e titolo di un prestigioso settimanale tutto atripaldese, è anche il nome del fiume che ha da sempre attraversato Atripalda, dividendola in due parti, collegate da due ponti nel mezzo del Paese.
Per noi abitanti, questo fiume non è mai stato soltanto un semplice corso d’acqua così voluto dalla Natura, bensì quasi un soggetto con una personalità e col quale convivere, capace di possedere sensibilità, farsi amare ed anche temere; temere per i suoi momenti di “piena”, della quale ci aspettavamo il puntuale “arrivo” dopo ogni abbondante (e frequente) pioggia.
Ricordo sempre quel gonfio volume d’acqua, di colore marrone (per il terreno che trascinava con sé dai fondi rivieraschi), transitare, veloce e minaccioso, nell’alveo, sotto i ponti, dando spettacolo nel Paese.
Osservavamo di continuo il livello dell’acqua, che saliva sino a lambire i limiti di guardia, per poi ritornare, ma dopo varie ore di preoccupazione, al suo più tranquillo e consueto aspetto.
Ma era anche accaduto che per qualche “piena “ quel fiume esondasse, e temevamo che potesse ancora accadere; ed un giorno accadde.
In pochi minuti, furiosamente, il Sabato invase le strade di Atripalda ad esso vicine, scorazzando ed inseguendo noi passanti.
Inondò tutto rapidamente, entrò nei terranei e nei negozi, danneggiando e ricoprendo di fango muri e ogni altra cosa (scostò persino un biliardo del bar, incredibilmente); e quando si fu “sfogato” se ne ritornò negli argini, come un dio a stento placato, lasciando un triste scenario, che gli abitanti civilmente ripulirono poi con rassegnata, silenziosa fatica e stupore.
Qualche rara fotografia, gelosamente conservata, documenta ancor oggi il ricordo.
Tempo dopo la Pubblica Amministrazione, per scongiurare ulteriori “isterismi” del fiume, adottò l’opportuno rimedio di far approfondire, con vistosi lavori di escavazione nel tratto di attraversamento del Paese, il letto di quel soggetto dal capriccioso carattere. E così riuscì a neutralizzare i suoi eventuali, ulteriori scatti d’ira.
Tuttavia quelle escavazioni, pur necessarie ed utili, ma forse dalla realizzazione un po’ “sgarbata”, mutarono la fisionomia del letto del Sabato; che, da ben liscio e squadrato, risultò poi concavo ed irregolare nell’aspetto, come era inevitabile che avvenisse, atteso che “ubi commoda et ibi incommoda”.
Ma verso quel fiume, più che il timore, ha sempre avuto prevalenza, in cuor nostro, l’affetto, come per un vero amico di ogni tempo.
Infatti, benché ormai troppo lontano, permane il ricordo di donne, mai stanche nelle cure domestiche, alle quali il Sabato favoriva il lavare dei panni, che esse immergevano nella sua corrente (limpida e pura all’epoca), faticosamente inginocchiate lungo la sua riva, proprio sotto il primo ponte dell’abitato.
Erano effettivamente altri tempi, oggi davvero inimmaginabili dopo il semplice avvento di un comune elettrodomestico.
Quello stesso fiume, quasi un nostro concittadino, consentiva altresì a noi, giovanissimi a quei tempi, la “confidenza” di farci scendere, sul suo greto con facile acrobazia ed a piedi scalzi, nell’acqua, proprio al centro di Atripalda, per compiere non so dire quali bravate, animati comunque da un senso di fantasiosa avventura, ben ammissibile per la nostra età.
Comunque il Sabato ci accoglieva, quando stava calmo, sopportandoci con tacita benevolenza.
Ma è stato soprattutto con la sua immagine che il nostro fiume ha caratterizzato il Paese, sì da renderlo, non so perché, singolare con l’appellativo della “piccola Venezia” e tanto da farsi ancor oggi voler bene nonostante il tempo passato, proprio come avviene quando si possiede un vero amico, fosse soltanto un fiume; senza il quale, tuttavia, Atripalda non sapremmo immaginarla.

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