Atripalda – Campanilismo

“Campanilismo” non è soltanto un vanto, spesso immotivato, del proprio Paese, con rivalità verso l’altrui, ma è anche affetto e considerazione per il Paese stesso, per le sue qualità, pregi, caratteristiche.

Non a torto, tutto ciò è spesso rappresentato proprio dai suoi campanili, che fanno da emblema, custodia e segno di riconoscimento del luogo, per chi, guardandolo da lontano, se ne avvicini anche soltanto con il pensiero.

E così ci appare innanzitutto l’altra torre campanaria che, vista da piazza Di Donato, ancor oggi si eleva, dalle croci poste presso il lato posteriore della Chiesa Madre di Atripalda, sino ad una sopravvenuta sopraelevazione munita di orologi esposti “ai quattro venti”. Ed è proprio a riguardo di quest’ultima che mi rimane il lontanissimo ricordo di un nostro conosciuto concittadino, benemerito anche per le sue filantropiche iniziative, che riferiva ai miei familiari, nell’immediato dopoguerra dei terribili anni quaranta, di essersi interessato per procurare i quattro quadranti in marmo occorrenti per quell’orologio.

E riteneva quasi miracolosa l’occasione positiva, trovata presso un’azienda marmifera, benché semidistrutta da recente bombardamento; il cui titolare, infatti, gli disse che, tra tutti i suoi manufatti ormai danneggiati dalle bombe, erano però rimasti salvi e, quindi, vendibili, soltanto quei quattro quadranti adatti al costruendo orologio, tuttora posseduto dal nostro Paese sul suo principale campanile.

Sembra, poi, fargli eco, il non lontano campanile della Chiesa di Santa Maria, antico, austero, immutato nel tempo.

In questa Chiesa, un nostro compaesano, ormai molto tempo addietro, iniziò ad allestire, ogni anno, un suo presepe, in virtù di un voto da lui formulato per essersi miracolosamente salvato da un grave incidente.

Da giovanissimo, infatti, nel confezionare i “botti” di Natale, benché investito in pieno viso dalle polveri di sparo che avevano preso fuoco, ne era rimasto illeso, avendo invocato Gesù bambino.

Da allora, organizzò anche una processione nel giorno dell’Epifania; e mantenne tale tradizione per oltre cinquanta anni.

Nella stessa Chiesa si celebravano, nel periodo natalizio, Messe sin quasi all’alba, accompagnate da prediche e dal benefico suono degli zampognari (quelli che, “venuti dai monti oscuri, senza dir niente, svegliavano nei loro tuguri la buona povera gente”).

Il popolo le chiamava, senza alcuna cattiveria, le “messe dei fidanzati”, poiché in quei tempi, essendo difficile incontrarsi, essi sfruttavano questa occasione per almeno vedersi.

La celebrazione, nella vigilia di Natale, aveva seguito anche nella vicina “salita del Palazzo” e per le vie adiacenti.

Quei campanili, taciturni testimoni delle nostre usanze di Fede, ne custodivano il ricordo e sembravano quasi raccontarlo, parlando tra loro.

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