La Dogana di Atripalda

Per chi, come me, è nato ed ha trascorso la propria giovinezza in Atripalda, sulla riva destra del fiume Sabato, nel centro storico del Paese, la denominazione di “Dogana” era collegata a quell’area principalmente contenuta tra le attuali Via Rapolla e piazza Garibaldi e da noi chiamata, in dialetto, “sott’a rovana”.

A conferma del ricordo, Maria Grazia Cataldi riferisce (in “La Dogana di Atripalda”, Beni Ambientali, pgg. 31 e seguenti) che l’antica Dogana era costituita da alcuni porticati coperti, di proprietà del feudatario, che sorgevano al centro dell’abitato, sulla via centrale del borgo antico, alla confluenza delle strade principali di transito; e che lo “jus dohanae” consisteva nell’esazione, a beneficio del feudatario, dei granelli di grano che cadevano a terra intanto che la si ripesava (cosiddetta scopatura), ma poi si cominciò ad esigere anche quanto poteva contenere il concavo di due mani unite (cosiddetta giummella) ed, infine, a pretendere, nonostante proteste, una misura e mezza (cosiddetta scumarella).

Atripalda ha sempre avuto (forse per vocazione) una particolare importanza come centro commerciale, tanto da entrare in competizione col vicino traffico di Avellino, rivalità conclusasi soltanto dal 1740 con la vittoria del principe di Avellino.

Da allora, infatti, la dogana atripaldese di cereali fu limitata al solo giovedì settimanale, onde favorire l’affluenza alla concorrente dogana di Avellino.

Ma l’attività molitoria delle rive del Sabato-Salzola risultò ridotta anche dalla deviazione dei traffici commerciali lungo la strada delle Puglie, conseguita alla istituzione della linea ferroviaria Napoli-Benevento-Foggia, nonché alla crisi del settore siderurgico e di altre attività economiche da sempre in difficoltà.

Sopravvisse, però, l’attività legata all’edilizia, anche agevolata, almeno inizialmente, dall’utilizzabilità delle cave di argilla, possedute da Atripalda per la fabbricazione di mattoni che potenziò il fenomeno di nuove costruzioni anche pubbliche.

Narra, a tal riguardo, ancora la Cataldi (opera citata pag. 33) che “nel quadro di questo fervore edilizio si inserisce la costruzione della Dogana Nuova, simbolo di quell’attività precipua della cittadina, cioè il commercio, che in ogni epoca le aveva permesso di distinguersi nettamente su tutte le altre della provincia.

Nell’ambito, infatti, del progetto di ristrutturazione del Largo Mercato, voluto nel 1882 dall’Amministrazione capeggiata dal Sindaco Nicola Cennamo ed affidato all’Ing. Carmine Biancardi, si pensò di edificarvi anche un nuovo palazzo della Dogana, che potesse egregiamente sostituire la vecchia, ormai decentrata rispetto al nuovo cuore della città e già da tempo non più in grado di assolvere alla sua funzione”.

Seguirono, nel tempo, dal 1883, varie deliberazioni dell’Autorità comunale, relative al progettato edificio doganale, sino alla seduta consiliare del 9/4/1884, nella quale si deliberò sull’acquisto ed impianto dell’orologio pubblico nel fabbricato della nuova dogana municipale; la cui costruzione doveva, comunque, esser terminata in data 8 dicembre 1886.

Successivamente, il 23 marzo 1887, la Giunta comunale compilò il regolamento, con relativa tariffa per detta Dogana destinato al mercato dei cereali e legumi. Finalmente l’edificio fu inaugurato, com’è nel verbale della seduta del 20 aprile 1887, nel quale fu prevista “l’apertura del novello mercato di cereali e la demolizione della vecchia Dogana per la formazione di una novella piazza” ( la futura Piazza Umberto I, gioiello del Paese, anche dopo essere stata “amputata” dell’adiacente largo tigli da costruzione che ha per sempre oscurato la suggestiva visione della sovrastante altura di San Pasquale.

Seguirono, nel tempo, determinazioni di manutenzioni e di interventi straordinari in favore della nuova Dogana, per l’insufficienza della sua grossa orditura in legno, da consolidare mediante la costruzione di un castelletto centrale.

E venne, altresì, assicurata la stabilità delle strutture portanti e del manto di copertura in lamiere di zinco, che, oltre a numerose parti forate da agenti atmosferici, presentava sconnessioni aggravate dalle forti raffiche di vento, che asportò numerose lamiere e danneggiò la copertura di piombo dei displuvi.

L’incessante cura della Pubblica Amministrazione per la Dogana si estese anche a lavori di collegamento dei due corpi del fabbricato della stessa Dogana adibiti a Succursale della Scuola Media Statale n. 3, nonché alla manutenzione del suo orologio, per ovviare al suo stato di deterioramento, ed alla miglior copertura dell’immobile e sistemazione della sua facciata laterale.

In epoca più recente, essa, quando ormai non era più usata come Dogana, ha pure ospitato, nella sua capace costruzione, una Scuola, un cinema e persino un deposito di autobus.

Questi e migliori altri dettagli ha esposto Maria Grazia Cataldi, che così ha poi concluso (opera citata pag. 38) : “Ora, la Dogana, fortunatamente scampata, sia pure parzialmente, al sisma del novembre 1980, a poco meno di un secolo della sua progettazione e realizzazione, attende la conclusione, in un modo o in un altro, della sua purtroppo tormentata esistenza: la rovina e l’abbandono oppure una utilizzazione, che possa riscattare, in certo qual modo, il significato, che essa ha avuto, di simbolo, oggi come ieri, rispetto alla più peculiare attività della cittadina di Atripalda”.

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