Canzoni di guerra

– di Gabriele Meoli –

“Caro Papà”, “Lilì Marleen”,”La sagra di Giarabub”, “La canzone dei sommergibili”, tra le varie canzoni trasmesse dalla radio specialmente nei programmi serali,furono gli inni che maggiormente accompagnarono la seconda guerra mondiale nei suoi momenti lieti o tristi, animati dalla speranza della vittoria o dall’incubo della sconfitta.

”Vincere” (o “Vinceremo”) fu il più ufficiale slogan politico, che apparve scritto anche sui muri (oggi sbiadito dal tempo), insieme ai titoli delle altre canzoni di guerra dedicate ai vari corpi di aviatori, carristi, marinai.

E fu proprio la Marina la forza su cui l’Italia, trascinata in guerra, poté maggiormente contare nella speranza di salvarsi, sostenuta dai suoi uomini valorosi, che combattevano sul fondo del mare, nel buio dei loro sommergibili.

Nello sfilare delle loro “Torrette nere”, si inneggiava, così, contro il nemico, da colpire e seppellire senza pietà, meritando – l’incubo della morte imminente – soltanto una “risata” o una “alzata di spalle” ed essendo comunque immancabile la “vittoria finale” (“andar pel vasto mar, ridendo in faccia a monna Morte ed al Destino, colpir e seppellir ogni nemico che s’incontra sul cammino. E’ così che vive il marinar, nel profondo cuor dell’immenso mar; del nemico e delle avversità, se ne infischia perché sa che vincerà”).

E intanto occorreva vagheggiare l’autotutela, per provvedere “da noi stessi al nostro mantenimento” a riguardo di ogni prodotto.

Le donne collaborano, sostituendosi agli uomini in attività un tempo a questi riservate; e ogni aiuola o pezzetto di terra vengono trasformati in “orticelli” per favorire l’economia di Stato.

Ai fini del risparmio, anche l’automobile viene sostituita dal mezzo, più economico, della bicicletta.

Benché l’Italia dovesse cantare “Cuori e motori d’assaltatori”, forse la risata in faccia a Monna Morte era una risata di disperazione.

Ed il cuore degli assaltatori era spesso di padri italiani, ai quali si immaginava inviata la lettera o cartolina della canzone “Caro papà” dal bambino, piccolo guerriero (“Anch’io combatto, anch’io fo’ la mia guerra con fede, con amore e disciplina…e curo l’orticello ogni mattina, orticello di guerra; e prego Iddio che vegli su di te, babbuccio mio”); bambino che giustificava la sua commozione dicendo “son lacrime d’orgoglio, credi a me”.

Questa canzone divenne popolare proprio per la carica emotiva che la animava e per l’angoscia della distanza sconfinata tra il figlio ed il padre, nonché per le lacrime sincere che si piangevano allorché la mamma porgeva il foglio al bambino perché scrivesse anche lui qualcosa o mandasse i saluti al genitore lontano.

Intanto i soldati italiani resistevano disperatamente nell’oasi di Giarabub, anche senza pane, senza piombo per i moschetti e senz’acqua, animati dall’illusione che la fine dell’avversario belligerante potesse realizzarsi proprio a cominciare da Giarabub.

E la canzone celebrativa della relativa sagra descriveva l’evento con le iniziali parole “Inchiodata sul palmeto, veglia immobile la luna; a cavallo della duna sta l’antico minareto”. La canzone si diffuse inevitabilmente, poiché il martirio di Giarabub fu cosa autentica ed al di là dell’odio bellico ci fu il rispetto che i difensori dell’oasi imposero a gente d’ogni schieramento.

Ma, tra tutte le canzoni del tempo d guerra, nessuna ebbe la notorietà d Lilì Marleen, motivo d’origine tedesca, adottato indistintamente dai soldati di tutti i front e cantata in molteplici lingue.

E mentre si moltiplicano le iniziative a favore dei combattenti (con la “befana del soldato”, posti di ristoro per militari, doni ai feriti negli ospedali), la radio, ogni sera, trasmette inni patriottici, tra cui la più bella canzone Lilì Marleen, che fu un inno internazionale, pieno di pietà.

Parla di due innamorati del tempo di guerra, tra l’altro dicendo : “Tutte le sere, sotto quel fanal, presso la caserma ti stavo aspettar.Anche stasera aspetterò e tutto il mondo scorderò, con te, Lilì Marleen, con me, Lilì Marleen”….,” O trombettiere, stasera non suonar, una volta ancora la voglio salutar, addio piccina dolce amor, ti porterò sempre nel cuor, con me, Lilì Marleen”…

E inoltre : “Dammi una rosa da tener sul cuor, legala col filo dei tuoi capelli d’or…” e prosegue con altri versi che soltanto il ricordo può farti riascoltare, sia pure in frammenti.

Anche la produzione cinematografica degli anni quaranta adottò motivi di canzoni belliche per l’accompagnamento musicale di molti suoi film.

La canzone di Lilì Marleen fu lanciata per radio con la voce dell’attrice-cantante Lale Andersen, che divenne celeberrima, appartenente ad una famiglia ebrea con sentimenti antinazisti, come si seppe; e che aveva tentato di fuggire dalla Germania, sotto la minaccia di finire in un lager, e cercò anche di avvelenarsi con i barbiturici; minaccia per colei che ormai tutti chiamavano Lilì Marleen e che cessò soltanto quando lei riuscì davvero a fuggire.

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