Una vita da acrobati

Le sfide continue da dover vincere a tutti costi e in tempi ristretti e la sola apparente ricchezza di relazioni e di vita sociale dei nostri tempi hanno determinato, dal mio punto di vista, una vera e propria incapacità di affrontare e di gestire le ansie e le sofferenze naturalmente presenti nella vita di ciascuno di noi.

È forse questa la spiegazione da dare ai tragici eventi che in questi giorni scuotono la società a causa dei continui efferati e irrazionali femminicidi.

Un vecchio articolo de Il Sole 24 ore, beccato da me di recente, riportava nel 2022 lo studio condotto dall’Università di Stanford sui comportamenti degli studenti dell’ateneo, a seguito del quale, poi, veniva coniato il termine della cd. “sindrome della papera” (duck syndrome) . In particolare, nel valutare la salute mentale dei giovani, è stato evidenziato come gli stessi, “stressati e pieni di impegni, nascondano ansia e malessere cercando di mostrarsi all’esterno sempre felici, ovvero mostrando di “stare sopra l’acqua”. Tale singolare terminologia prende spunto proprio dall’immagine di un’anatra che sembra scivolare calma sulla superficie di un laghetto, mentre in realtà sotto la stessa superficie muove in modo compulsivo le zampe per rimanere a galla”.

Ebbene, credo che molti siano affetti da questa sindrome, a causa, come detto, delle sfide della vita quotidiana fatte di smisurata competitività in ogni ambito (accademico, lavorativo e sociale) e del bisogno (stupido) di celare, però, il proprio malessere e lo stress, scegliendo così di vivere in un modo meramente superficiale, magari per l’errata convinzione di essere i soli a provare simili sensazioni faticose.

Questo studio mi è tornato in mente in questi giorni, in seguito al raccapricciante episodio di ennesimo femminicidio a danno di una giovane, la Giulia di turno, e non certo per giustificare ciò che è ingiustificabile, quanto piuttosto per cercare risposte che in realtà non trovo.
Nonostante la rabbia e lo sconforto che provo dentro di me, non intendo emettere giudizi nei confronti di alcuno perché non sono un Pubblico Ministero, non intendo ricostruire i fatti, perché non sono una criminologa, né intendo suggerire le riforme da attuare in materia perché non sono una parlamentare. Sono solo una donna qualunque spaventata dalle tragedie subite da famiglie incolpevoli e che cerca ogni giorno di educare i suoi figli al rispetto e all’amore. Sono solo una mamma, una delle tante che Giulia ha trovato ora che non c’è più e che le stanno riservando l’amore e le preghiere che le avrebbe destinato di certo la sua mamma se fosse stata ancora viva.

E in questo dolore collettivo che ci sta unendo da nord a sud, io mi prendo il lusso di fuggire dalla sindrome della papera, di non agitare le mie zampe sotto la superficie , ma di fermarmi, lasciarmi andare nel silenzio al dolore a cuore nudo, di cercare riparo nei versi di una poesia che mi trasmetta un minimo di dolcezza e di benessere psichico , che mi insegni la strada e il modo per sopravvivere in questa società in cui tutti siamo come acrobati senza rete di protezione.

Così scelgo le parole di Rumi, poeta islamico, e mi ripeto: “Prima ero intelligente e volevo cambiare il mondo, ora sono saggio e voglio cambiare me stesso”.

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