Si schiuderanno le margherite

Una mattina come tante, di quelle cioè in cui come sempre ero per strada di corsa per cercare di far quadrare l’attività lavorativa con quella casalinga, all’improvviso sono stata piacevolmente inondata dall’odore del pane appena sfornato proveniente da un locale panificio.

Ma mentre godevo di questa gradevole sensazione, mi è venuto da pensare a chi invece è stato privato della possibilità di compiere le “noiose” ripetitive azioni quotidiane, come rassettare la propria casa, fermarsi a parlare per strada con conoscenti, girare tra le bancarelle colorate del mercato per scegliere le verdure di stagione, muoversi tra il vocio dei passanti e i clacson delle auto in corsa, sentire il profumo del pane…

Ecco, è questo e tanto altro ciò di cui ci priva una guerra.

C’è un popolo non lontano da noi che è stato costretto a mettere da parte ogni aspirazione di un “tedioso” salvifico tran tran e, piuttosto, scappare via, lasciare forzatamente le proprie cose, anche le più care, le proprie abitazioni, con il timore di perderle definitivamente, i propri uomini, costretti loro malgrado, a prescindere dall’età, ad imbracciare kalashnikov di ultima generazione per sparare su altri uomini, di cui nulla sanno, se siano cioè buoni o cattivi, giovani o vecchi, meritevoli di perdono o di pietà. Comunque sparare e uccidere.

Non conta se il popolo costretto a fuggire e a subire la distruzione del proprio vissuto sia europeo o dei Paesi balcanici, sia russo o africano. Ciò che conta è che, per quanto nel lontano ‘700 il filosofo partenopeo G.B. Vico spiegasse il suo concetto di “corsi e ricorsi storici” e quindi del ripetersi inevitabile di alcuni accadimenti, sia pure odiosi e distruttivi, è inconcepibile nel 2022 dovere assistere impotenti alle bombe che una guerra spietata ed incomprensibile lancia su città, democrazie e sogni.

Nell’era del dialogo, non si può giustificare alcuna strage di bambini, di donne, di anziani, né ci potrà mai essere assuefazione al dolore per questi massacri immotivati.

La circostanza poi di poter assistere al sicuro delle nostre case, solo attraverso i coraggiosi reportage degli inviati di guerra, alla distruzione di interi centri abitati dove edifici e civiltà vengono ridotti in polvere e in fumo, dove non c’è pietà per i bambini, né per i depositi di aiuti umanitari, non toglie di certo dolore e sdegno in tutti noi, sia pure inermi e scoraggiati al pari del popolo oppresso.

Ogni guerra è foriera solo di fame, violenza, stupri, di distruzione non solo di edifici, ma soprattutto di vite e di dignità.

Nessun conflitto, ovunque combattuto e comunque concluso, avrà costruito ponti o soluzioni per cui valeva la pena uccidere.

Qualsiasi guerra, in realtà, avrà creato solo mostri negli occhi dei bambini e delle donne in fuga in lacrime, ma, ahimè, anche nella mente di chi è stato costretto a sparare ai propri simili, di chi ha stuprato, di chi ha raso al suolo scuole, monumenti o intere città.

Vani sono stati sinora i tentativi di pace sollecitati da ogni parte del mondo, come vane sono state le sanzioni imposte a chi continua nell’intento bellico e addirittura minaccia l’uso delle armi nucleari.

Chissà invece se la lettera di un bambino, di quelli costretti a scappare dalla spensieratezza, trovatisi all’improvviso catapultati in una nazione sconosciuta o in un freddo bunker di fortuna, senza gli affetti più cari, senza alcuna comodità, con la paura negli occhi, poteva ottenere pietà per le tante vite giovani e incolpevoli, poteva far giungere un po’ di dolcezza e di pace nel cuore di chi oggi persegue solo distruzione, quel cuore che troppo spesso mettiamo a tacere in nome di falsi e incomprensibili ideali di potere .

Chissà se l’innocenza e la tenerezza dei bambini sarebbero riuscite più di qualunque diplomatico a far sperare che su quei prati, lì dove ora sono i nugoli di fumo per le bombe cadute dal cielo, un giorno si schiuderanno le margherite!

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