Le affezioni pericolose: breve cronistoria delle pandemie

– Michele De Masi –

L’umanità ha patito, in epoche passate, lunghi periodi di epidemie più o meno diffuse in comunità grandi e piccole dell’allora mondo conosciuto. Ognuno di noi ricorda dalla scuola quella descritta nei Promessi Sposi datata 1600, e andando indietro nel tempo l’altra che ispirò la stesura del Decamerone descritta dal Boccaccio come l’Orrido Cominciamento: siamo a metà del 1300. I libri di storia ci parlano dell’epidemia al tempo di Giustiniano che partita dalla capitale dell’Impero Romano d’Oriente, Costantinopoli, si diffuse fino ad arrivare alle porte di Roma, nel 541 d.C. Chi ha affrontato gli studi classici, in ultimo, si sarà imbattuto in quella descritta da Lucrezio sulle testimonianze di Tucidite che colpì la città di Atene nel 430 a.C. Tutte queste furono classificate come: il flagello della Morte Nera o più comunemente Peste Nera dal batterio che, con diverse varianti succedutesi nei secoli, ha assunto il nome scientifico di Yersinia pestis. Ma come vedremo anche altre, e di diversa origine hanno afflitto l’umanità durante il suo cammino.

Preistoria pestifera
Ma sempre in tema di epidemia di peste, ce ne sono di precedenti rispetto a quelle citate?
A questa domanda risponde un esauriente articolo comparso questo mese sulla rivista Le Scienze ad opera del divulgatore scientifico inglese, James P. Close. Mette in ordine non solo gli episodi citati ma tenta una sistemazione anche per quanto riguarda l’individuazione dei popoli nomadi o invasori che hanno rappresentato i portatori del morbo.
Innanzitutto bisogna parlare degli enormi progressi fatti dalla genomica archeologica negli ultimi anni, con sofisticati procedimenti di laboratorio uniti a potenti strumenti di calcolo. Questi hanno consentito di utilizzare una tecnica innovativa. Estrarre il codice genetico dei patogeni non dalle ossa in generale ma in particolare all’interno della polpa dentaria, nelle mascelle fossili rinvenute in antiche necropoli. Ricercatori della McMaster University, in Canada con ridotti frammenti di codice genetico ricavato dalla trapanatura dei denti sono riusciti a risalire all’intero sequenziamento del genoma microbico. Così si è scoperto che le prime epidemie, sempre di Yersinia pestis risalgono addirittura alla preistoria.

Il DNA di Y. Pestis è stato trovato in ossa umane dell’Europa dell’ età del rame, 3000 a.C. in una fossa comune con i resti di 78 persone a Fralsegarden in Svezia.
Si pensa che la trasmissione, alle comunità agricole del posto, sia stata originata dalla migrazione di popoli dalle steppe asiatiche, gli Yamnaia.

Sistemiamole in buon ordine
Ricapitolando, le grandi epidemie di peste si possono così riassumere:
1) quella di Giustiniano, proveniente dai territori del Medio Oriente, Cina, confutando una prima ipotesi che le attribuiva origini egiziane.
2) Quella Medioevale che si spinge fino al 1700 e che coinvolge con diversi episodi l’intero territorio europeo – compreso la famosa peste di Londra, del 1600 che arrivò dalle navi mercantili olandesi – con origine dallo stesso ceppo rimpallato attraverso gli scambi commerciali tra Europa e Oriente.
3) E infine la peste dell’Ottocento che partita dalla Cina non risparmiò Giappone e India e Stai Uniti.

Un’ultima considerazione riguardo l’ambiente di diffusione: gli agglomerati di persone in comunità prima agricole e poi urbane. A seguire, le carenze alimentari e le precarie condizioni igieniche, specialmente nella popolazione più povera. La trasmissione: primariamente attraverso il contatto, chiamiamolo ravvicinato, con pulci e ratti e in seguito tra gli umani con la trasmissione di particelle di aerosol durante la respirazione.

Le pulci fameliche

L’articolo succitato, si sofferma su quella trasmessa dalle pulci con un aspetto curioso e al tempo stesso inquietante. Riporto letteralmente: “circa 4000 anni fa il batterio Y. pestis acquisì un gene chiamato ymt codificando un enzima protettivo che gli permise di vivere nelle pulci e spostarsi con esse. In seguito sviluppò la capacità di produrre una matrice extracellulare adesiva formando agglomerati collosi di cellule che si accumulavano nel tubo digerente della pulce ospite bloccandone il tratto digestivo. Di conseguenza, le pulci affamate andavano incontro a violenti attacchi di fame durante i quali mordevano ripetutamente qualsiasi mammifero alla loro portata, diffondendo così l’infezione ad ogni morso”.

Non solo peste, anche altre malefiche compagnie
Il perfezionamento delle indagini genomiche, ha consentito agli scienziati di identificare molti altri patogeni e di conseguenza correggere il tiro ed offrire una migliore classificazione nelle epidemie del passato.

Gli scienziati hanno identificato i periodi in cui molti patogeni umani moderni, tra cui i ceppi di lebbra, tubercolosi, epatite B e parvovirus (la quinta malattia), emersero come problematiche diffuse. Questi periodi ribadiscono due caratteristiche necessarie ad una larga diffusione. Le fasi in cui gli esseri umani iniziarono a vivere in modo stanziale e al tempo stesso quando queste comunità, distanti tra loro vennero collegate da cavalli, ruote, navi e mezzi di trasporto sempre più evoluti per il commercio a lunga distanza. Il tutto favorì lo scambio di malattie su scala globale: pandemie.

Per esempio, la distribuzione dei genomi antichi di epatite B così come la peste segue le stesse rotte migratorie dell’uomo durante l’Età del bronzo e di quella del ferro. Allo stesso modo, la tubercolosi fu trasportata dagli equipaggi di navi commerciali romane e di mercanti che affollavano i principali snodi lungo la Via della Seta. Secondo Caitlin Pepperell, dell’Università del Winsconsin a Madison, studiando l’aDNA – a sta per antico, in questo caso di 6000 anni – della tubercolosi, ha scoperto che appartiene allo stesso ceppo moderno che ha mietuto vittime fino a mezzo secolo fa.
Certo non fu solo il commercio a diffondere questi microbi. Spesso i patogeni sfruttano – e lo sappiamo oggi amaramente – più ospiti animali e in special modo quando le nostre interazioni con determinati animali diventano più strette. In tal caso i patogeni si accodano subito.

Nel Regno Unito, per esempio, una delle ultime popolazioni rimaste di scoiattoli rossi ospita ancora un ceppo medievale di lebbra, probabilmente importato via mare, in Inghilterra, da commercianti vichinghi di pellicce. In modo analogo, sembra che un ceppo di tubercolosi che colpisce gli esseri umani sia stato trasportato in Sud America dalle foche, come ha rilevato un campione di aDNA estratto da uno scheletro peruviano millenario.

Mamma… li turchi! Nel nostro caso: mamma i conquistadores
A proposito di Nuovo Mondo, tutti sappiamo come un impatto rilevante sulla diffusione di malattie infettive si determinò con l’arrivo dei primi europei.

L’ impero azteco, centrato sul Messico, fu invaso da un piccolo contingente di soldati spagnoli all’inizio del Cinquecento che insieme all’aiuto di sudditi insoddisfatti e Stati rivali rovesciò quella civiltà. In seguito gli invasori europei importarono altri aggressori. Quel triste periodo storico, ancora oggi, viene ricordato come encomienda: un sistema brutale caratterizzato da maltrattamenti, sopraffazioni, sfruttamento del lavoro e malnutrizione.

Dopo l’iniziale conquista nel 1521, la popolazione azteca fu devastata da una delle pandemie più severe della storia. Secondo le testimonianze del frate francescano spagnolo Bernardo de Sahagun l’infezione uccise fino all’80 per cento della popolazione indigena. Le persone del posto la battezzarono cocoliztli e per anni è stata attribuita a peste, influenza emorragica, malaria, tifo e ancora vaiolo.
Per gli storici non era nemmeno chiaro se la malattia fosse di origine locale oppure importata dagli spagnoli.

Nel 2018, tuttavia, l’aDNA ha indicato un probabile colpevole. Dopo aver estratto DNA da scheletri scoperti in una fossa comune dell’epoca della cocoliztli, Johannes Krause, specialista di DNA antico al Max-Planck-Institut fur Menschheitsgeschichte – lo stesso dei violenti attacchi di fame delle pulci medioevali – e colleghi hanno stabilito che in oltre metà dei campioni c’era Salmonella paratyphi C. un batterio responsabile di una grave infezione intestinale. Nella Americhe non erano mai stati trovati batteri del genere Salmonella prima del contatto con gli europei. Dunque questo accredita che il patogeno sia arrivato per mare dal Vecchio Continente. E probabile che i conquistadores trasportassero cibo e acqua contaminati sui loro vascelli transatlantici, insieme ad altri potenziali vettori tra cui polli, maiali e bovini, e animali pericolosi come ratti e topi, tutti capaci di trasmettere la malattia.

Infine, dal momento che le sciagure non arrivano mai da sole, i dati estratti dagli anelli degli alberi in uno studio del 2000, fa luce su una serie di siccità catastrofiche che colpì il Messico. La mancanza di cibo e lo spostamento di intere popolazioni lasciarono le persone indebolite e incapaci di combattere i nuovi microbi invasori che il loro sistema immunitario era impreparato ad affrontare. E un’intera civiltà in un tempo relativamente breve, si dissolse.

Considerazioni a latere
Veramente più che a latere, sarebbero a ledere, nel senso di minare certe consapevolezze e magari convinzioni che il progresso oggi ci offre. Il riconoscimento di aver debellato quasi per intero tutte le patologie sopra descritte non ci assolve certo dalla difficoltà che abbiamo, a distanza di più di un anno, a tenere sotto controllo la pandemia di SARS-CoV-2. Ad onor del vero c’è da aggiungere però, che i laboratori di ricerca medica e farmaceutica hanno fatto in tempi superveloci un lavoro magnifico, fornendoci più di un vaccino da utilizzare. Ma a me fa specie una considerazione di carattere civile. L’essere rimaste, a distanza di migliaia di anni, alcune discriminazioni di carattere sociale per cui il diritto alla salute – intesa come gestione delle malattie – viene ancora regolata a le leggi di mercato di chi – per proprie risorse di tasca – si approvvigiona di risoluzioni curative prima di altri.

Incredibile ma vero
A proposito di risoluzioni mediche c’è un – chiamiamolo rimedio – nella storia della scienza che – non certo un ultimo arrivato – adottò per combattere il contagio durante la peste di Londra.
Sto parlando di Isaac Newton genio della matematica, fisica e astronomia che contende a Einstein il primato di scienziato più famoso del mondo.
Poco tempo fa la casa d’aste americana Bonamy ha messo in vendita on line un appunto, scritto a mano dallo scienziato, in cui suggerisce un rimedio per curare la peste.
Lo riporto di seguito, avvertendo i deboli di stomaco che possono tranquillamente astenersi dal leggerlo… importante è che abbiano letto tutto il resto.
Poltiglia da assumere per difendersi dal contagio: “un rospo sospeso per tre giorni con le zampe appese a un camino che alla fine ha vomitato per terra vari insetti su un piatto di cera gialla e che poco dopo è morto. Combinare il rospo in polvere con le escrezioni e il siero trasformati in losanghe”.

P.S. Non comprendo il perché della composizione in losanghe. Saranno imperscrutabili significati matematici?

 

I commenti sono chiusi.