Un segno

– Di Emanuela Sica –

Ho messo su una canzone: “Caro amico ti scrivo…”, dovrebbe aiutarmi a pensare e a ribaltare questa difficoltà di mettere, nero su bianco, quello che vorrei dirti. Magari chiederti come stai anche se il pensiero pretende che ti faccia una domanda: dove stai? Mi rendo conto che sono quesiti inutili, se non melanconici. Le preoccupazioni di questo mondo, che sta andando a rotoli, si mescolano alla concreta disillusione che si stia procedendo, a grandi passi, verso un punto di non ritorno. E tu, dimmi, stai in uno spazio piccolo o grande? Sei alla luce o in penombra? C’è freddo o un caldo tepore? E da lì… riesci a vederci? Scusami se ti assillo… ma sono così tante le domande che vorrei farti, forse perché ho il terrore di arrivare, presto, nel posto dove sei tu ora. O magari è solo la voglia di esorcizzare questo momento di sconforto. Sai, qui le cose non sono più uguali a “ieri”, a quando c’eri. Una tempesta pandemica ci ha colti impreparati nonostante fossimo stati avvisati da una serie di “eventi” che abbiamo deciso (scientemente o involontariamente, non lo so) di mettere da parte. Stiamo facendo i conti, senza saper contare, con un virus che ci ha bloccati negli spostamenti, nella socialità ma anche nella mente, nel cuore, nella comprensione. Un anno intero è stato praticamente risucchiato nel vortice dell’incredulità, dell’ansia, dello smarrimento, della paura e infine della morte. E, in tutto questo, chi era dotato di sensibilità ha visto aumentare, esponenzialmente e tremendamente, le proprie percezioni (caricandosi oltremodo del peso di vivere) e chi era insensibile, beh, lo è diventato di più. Quasi nessuno ha tratto un insegnamento dal terremoto invisibile che ha colpito la terra. Questo “micro-essere” ha peggiorato ogni cosa, anche le coscienze. Poi, un giorno qualunque, ci hanno detto: “Con il vaccino usciremo a rivedere le stelle…” ma tra il proclamare e l’agire c’è un profondo abisso. L’idea, o l’aspirazione, di salvezza è ancora lontana. I vaccini (più di uno, per la verità) ci sono ma… stentano ad arrivare. Alcuni di questi vengono rifiutati, altri sospesi, la gente ha paura di reazioni avverse, mortali e, intanto fuma, beve e prende bustine di antinfiammatori come se non ci fosse un domani, senza neppure dare uno sguardo ai temibili “effetti collaterali/indesiderati” del “bugiardino”. Una bugia legalizzata? No, una verità non edulcorata, nuda e cruda, che i più non leggono ma, bada bene, se si tratta di vaccini prestano la massima e ossessiva attenzione. Ovviamente in tanti fanno il vaccino con spirito di abnegazione, fiduciosi nella scienza; altri si imbucano, fiduciosi nell’amico che gli farà il favore; altri aspettano ancora, sempre fiduciosi nella scienza ma un po’ stanchi, scoraggiati per molti versi, il proprio turno. Così, in questo tragicomico bailamme del “sentito dire” e degli innumerevoli “dati”, prima certi e poi incerti, gli ospedali collassano, i cimiteri si ingrossano, le bocche si impoveriscono, la rabbia e insieme lo sconforto traggono nutrimento utile allo scopo: farci impazzire. C’è chi lo chiama “epico scherzo del destino” ma la realtà del “come siamo arrivati a tutto questo” è un po’ diversa. Il mondo è stato depredato, spogliato, torturato, offeso, sporcato. Anche oggi si continua a picchiarlo, umiliarlo, rinnegarlo, mettendo sale sulle sue ferite eppure si pretende, “ciecamente”, che sia uguale a ieri, a quando era un bambino a cui è stata tolta la naturalezza, la purezza, la bellezza, la spontaneità della sua tenera età. Chi è responsabile di tutto questo se non l’essere umano? So che non potrai mai rispondermi ma imbuco lo stesso questa lettera nella speranza che, anche mezza parola, in qualche modo ti arrivi e che tu possa dire al “titolare” di questo universo che abbiamo bisogno di un “segno”. Lo chiedo per i bambini, per i ragazzi, che hanno perso buona parte di una vita, tutto sommato, felice ed ora si trovano (magari bendati) in compagnia di uno schermo che proietta immagini virtuali e decisamente distanti dalle loro emozioni. Lo chiedo per i fragili, già puniti dalla vita in tempi non sospetti, ancora in attesa di essere protetti. Lo chiedo per coloro che hanno perso la dignità del lavoro, per coloro che hanno visto fallire le proprie attività. Lo chiedo per coloro che combattono, in prima linea, una guerra senza confini e senza armi, per i dottori, gli infermieri, ieri eroi e oggi vilipesi. Lo chiedo per i defunti, per la solitudine in cui hanno fatto l’ultimo viaggio della loro vita, soprattutto ora che morire è diventato solo un numero o un necrologio distratto. Lo chiedo per coloro che hanno dimenticato che vuol dire agire nel bene del paese e continuano, tragicamente, a soffiare sul fuoco del malcontento. Lo chiedo per me e per tutti quelli che non sanno più cosa credere, che non sanno più distinguere il vero dal falso, che hanno perduto, oltre alla salute, la speranza che tutto possa cambiare. Un segno che non debba, per forza di cose, trapassare questo muro, il tetto, invadere la casa come un evento prodigioso. Basterebbe un soffio, delicato, premuroso, “di serenità”, una traccia di quiete che si propaghi, come profumo di fiori di campo, dalle narici fin dentro l’anima, senza fare alcun rumore, senza giubilo e senza miracolo. Un segno che ci riporti almeno un po’ di quel “semplice vivere” che abbiamo perduto. Un segno che sia “una tregua” e che, magari, abbia il colore del mare, la frescura della brezza marina ma anche il caldo, non aggressivo, della sabbia verso le nove del mattino, quando sembra una coperta morbida su cui stendersi e riposare i pensieri. Quel leggero vento dell’anima-mundi ritrovata e ricollocata nel posto esatto, al centro del nostro petto, quanto bene ci farebbe. Ognuno potrebbe ritemprarsi nel suo abbraccio. Probabilmente questa mia richiesta rimarrà appesa alle lancette, sono le 23,45 e si continua, ancora, a morire di “virulenta” solitudine…

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