ADELINA

Ingoio un ultimo sorso di quest’aria fresca, stasera. Indosso gli abiti stretti della memoria, per un attimo corro indietro nel tempo e mi fermo a giocare con una farfalla nel prato, caldo e affollato di profumi inebrianti, di quelle “misere” estati bambine. C’è una piccola ape che mi ronza intorno senza farmi paura. Gli insetti sono innocui, se non li maltratti o li scacci con violenza se ne stanno buoni, senza fare nulla di male. Tutto il contrario degli esseri “chiamiamoli umani”, loro mi hanno estirpata da quel prato, rapita, con la violenza che appartiene solo a loro. Ero poco meno che un’adolescente e, una volta scaricata in Italia, mi hanno buttata sulla strada, avrei dovuto prostituirmi. Per qualche tempo il sesso a pagamento è stato il mio pane quotidiano, insieme al companatico di percosse, stupri, violenze. Poi ho deciso di scardinare le catene, di denunciare i miei aguzzini, da lì non si è aperta la porta per la redenzione ma l’antro per discendere, dritta, all’inferno. Pur facendo arrestare quaranta persone dalla mafia Albanese, ho iniziato a subire un altro tipo di violenza.

Non sto parlando di schiaffi ma di qualcosa che non vibra nelle mani o nei pugni, né crea lividi visibili ad occhio nudo. Se mi stringo nelle spalle, se con le mani mi abbraccio come se avessi freddo, sento ancora quel dolore “trasparente” sulla pelle, quell’indifferenza che pesa come un macigno soffocante anche se è, praticamente, senza un reale peso specifico. Eppure si fa fatica a tenerla soprattutto quando si ha l’animo così fragile. Mi sento come un palloncino in un recinto pieno di ricci, potrei scoppiare da un momento all’altro, al minimo movimento. In realtà sono già scoppiata, il punto di rottura è passato inosservato, era minimo, piccolissimo, quasi un frammento di polvere, che non avrebbero potuto accorgersene neanche volendo. Sono implosa come una stella… sapete cosa vuol dire? L’evoluzione di alcune stelle è caratterizzata da implosioni. Quando una stella esaurisce una parte del combustibile nucleare, produce meno energia e non riesce più a equilibrare la sua stessa forza gravitazionale. La superficie della stella allora collassa verso il centro, provocando un aumento di densità e una diminuzione delle dimensioni della stella. Ed io sono collassata su me stessa a causa di quella “brusca forza” che molti chiamano cancro e che ha compresso la mia massa al centro. Eppure quando una stella “terrena” implode, crea un vuoto nella vita di alcune persone, mentre passa praticamente sottotraccia nell’esistenza di chi è stato il responsabile, di chi ne ha causato la comparsa. Quella maledetta “forza cancrenosa” si è sviluppata dopo anni di sofferenze, soprusi, paure, aspettative senza risposta e mi ha costretta a fare i conti con la severità dei miei giudizi, contro questa corte che mi parla nella mente e che mi ha già dichiarata colpevole di “inesistenza”. Desiderare qualcosa e non riuscire ad afferrarla è una maledizione, ancora peggio quando un burocrate timbra sulla tua faccia la dicitura “rigetto” che vuol dire, praticamente che, per loro, io non esisto. Esistevo solo quando avevano bisogno dei miei segreti, compiuta l’opera di polizia o pulizia, le mie richieste sono diventate insonore, insapore, incolore, il nulla.

Eccomi, “malata e dimenticata tra le pieghe della burocrazia” vittima di quella che io chiamo “violenza di Stato”. All’ultimo rinnovo del permesso di soggiorno mi hanno tolto lo status di apolide e riconosciuto solo la cittadinanza albanese: uno schiaffo in pieno volto per chi, come me, ha il terrore di tornare nel paese che mi ha “distrutta”. Senza la cittadinanza italiana, inoltre, non posso fare richiesta per la 104, ero totalmente invalida, né per un alloggio dignitoso, una casa popolare o altri aiuti. E le sento, tutte, quelle voci, tante, acute, cattive, anche adesso, abbarbicata su questo muretto, sul ponte che mi porterà a volare sul mondo, a cadere nel vuoto, a scendere nelle profondità dei lamenti più atroci di mia madre, nelle incomprensibili litanie incredibili di mio padre. Neanche darmi fuoco è servito per riscaldare i cuori di ghiaccio di quella gente. Ora che il vento non riesce più a trattenermi, riesco a comprendere l’incomprensibile, a ragionare sull’inutilità di aver abbandonato me stessa in balia di quella forza, ragiono sul non-senso di questo “salto” senza avere la possibilità di fare un passo indietro, spostare le lacette a mezzo secondo prima di quell’ultimo sorso d’aria. E non c’è niente che fermi questa voglia di scavarmi la fossa. Mi lancio… e così sia.

[In memoria di Adelina Sejdini suicida per non aver avuto cittadinanza]

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