Amore e morte (… Amor condusse noi ad una morte…)

Un richiamo (“O anime affannate, venite a noi parlar, s’altri nol niega!”) invita Paolo e Francesca, dannati per lussuria, a soffrire uniti sotto il tormento di un vento impetuoso, che li agita come già fece in vita la loro passione. Ed essi, “quali colombe dal disio chiamate”, si avvicinano solleciti per parlare con Dante, uscendo “de la schiera ov’è Dido”.

L’aspirazione ad una pace interiore, ormai impossibile, governa le parole di Francesca, che è pronta a rispondere al poeta.

E forse un lampo di nostalgia le fa rivedere la sua Ravenna, di cui dice “siede la terra dove nata fui su la marina dove il Po discende per aver pace coi seguaci sui”.

E così ritorna questa prospettiva di pace, che lei non potrà più avere, ma che si presenta nel fenomeno naturale del Po e dei suoi affluenti, che finalmente si compongono riversandosi in mare dopo il lungo travaglio di un lungo percorso, al termine di una sofferta fatica.

Ma poi, nella mente di Francesca, che continuerà sempre lei da sola a parlare con Dante, balena il movente predominante del suo peccaminoso amore per il cognato Paolo, che subito coinvolse sia costui, per la sua sensibilità (“Amor ch’al cor gentile ratto s’apprende”), sia lei, che non può non riamare (“Amor ch’a nullo amato amar perdona”), al punto tale da legare i due sventurati, per sempre, nel loro male destinato a durare, senza fine e senza pentimento, ben oltre la vita.

Sarà quello stesso amore, di lì a poco, a condurli ad un’unica cruenta morte, ferocemente inflitta loro dal tradito marito d lei, a sua volta atteso nel profondo luogo infernale della Caina come conseguenza di giustizia divina o comunque per rivalsa punitrice della duplice uccisione.

La tragica storia emoziona e fa soffrire Dante, già di per sé sempre sensibile, che tuttavia domanda a Francesca quale sia stato l’inizio della vicenda in cui i due scoprirono i loro “dubbiosi disiri”.

E Francesca, come per scagionarsi, è pronta a rivelare che tutto fu provocato dalla lettura, solitaria e tranquilla, che lei e Paolo, un giorno facevano, per mero svago, di un romanzo cortese della loro epoca; il quale narrava del rapporto di Lancillotto con Ginevra, sino alla scena audace di un bacio erotico da lui dato sulla bocca di lei (“il disiato riso”), subito imitato da Paolo, che sia pur “tutto tremante” per emozione, fece altrettanto con Francesca.

Quel libro fu, quindi, un regista o un mediatore occulto del rapporto amoroso tra quei due protagonisti (“Galeotto fu il libro e chi lo scrisse”); del quale cessò poi l’ulteriore lettura (“Quel giorno più non vi leggemmo avante”).

È vero che i casi della vita sono sempre dominati dalla forza invisibile del destino, che trascina le debolezze degli esseri umani. Il pianto di Paolo, unico suo commento a questa rievocazione, conclude il racconto di Francesca e provoca ulteriore emozione in Dante, tanto da farlo cadere “come corpo morto cade”.

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