Denise

All’arrivo delle prime lucciole, mentre il canto della notte nutre ogni desiderio trascinandolo verso l’oblio del sogno, una luce resta accesa, severa come sempre, nel pensiero stanco, eppur inquieto, di una madre. Ferma, quasi attonita, davanti al carro della luna che fa la sua comparsa, come un occhio indagatore e silenzioso, nel cielo divenuto oramai cupo e senza stelle. Una pioggerella improvvisa bagna tutt’intorno, quasi un richiamo per una lacrima, sempre quella, che non riesce a trattenersi. Si lascia andare dall’occhio sinistro, facendo una curva sullo zigomo, accelerando lo schianto sul pavimento, come una bomba senza eco che non esplode ma implode tragicamente nello stomaco. A ruota la segue quella del destro. Una gara senza sosta e senza vincitori. Le mani sulla tenda della finestra, la stoffa tenuta tra le dita quasi a spostarla da una culla che si materializza, come un sortilegio, consuetudinario, costante, delicato eppur doloroso. “Mai che facciano un po’ di silenzio…” aggiunge con disappunto, lanciando uno sguardo indagatore sui cani giù in strada “… qui c’è mia figlia che dorme”. Tuttavia il chiassoso latrare risveglia la piccola che si alza, quasi immediatamente, dal suo giaciglio caldo, il profilo appena disegnato dal riverbero della luna che filtra dai vetri. Si mantiene in equilibrio alle sponde, sorride, ha gli occhi lucidi di gioia. Allunga le mani, si fa prendere in braccio. La madre l’avvolge con trasporto in uno scialle di cotone, la poggia sulle ginocchia, le carezza la fronte. A quel tocco, magicamente, i capelli della bambina crescono velocemente, arrivando a toccare leggermente le spalle. Con la spazzola che ha di fianco, sul comodino, inizia a pettinarla accompagnando i movimenti con una canzone che sembra una melodica filastrocca di smarrimento e incredulità. E mentre questo rituale si compie, Denise passa le stagioni degli anni come fuggevoli lampi d’incantesimo, dall’avere appena un anno… giunge sino ai nostri giorni. In un percorso d’illusione e smarrimento, come libellula che vaga tra i fiori recisi del bosco, nelle valli del tempo sospeso, nuotando nel vento caldo di scirocco, ora è diventata grande. Sulla scrivania difronte un diario si apre, le pagine si muovono a ventaglio e una, in particolare, si riempie da sola, senza che ci sia nessuno a scrivere usando la penna… “C’è una stanza nel tuo cuore dove io sono ancora io ed ogni volta che ti vengo a trovare le pareti sembrano sempre più grandi, come se si espandessero, così da diventare spaziosa, piena di ricordi, emozioni, speranze. Li ci metti tutti i giorni mai più vissuti, gli abbracci mai più stretti, i sorrisi rimasti appesi all’istante prima, l’odore dello zucchero filato, le caramelle dimenticate nei cassetti, le bambole solitarie, il letto immacolato con le lenzuola che sanno di lavanda. Vorrei dire qualcosa che non sai, urlare con la voce che non ho, darti le risposte che chiedi. Ma non posso, non so dove sono, né dove sono stata, non so cosa mi è accaduto né se il respiro ancora mi carezza l’anima vitale. So solo che la cattiveria del mondo che ci circonda ha rapito il germoglio che tu avresti innaffiato per far crescere, diventare albero, carico di foglie, gemme, frutti. Ciononostante, anche davanti all’impossibile, non ti sei mai arresa. Mi hai dato nutrimento, coraggio, affetto, presenza in trasparenza… nell’attesa delle tue notti insonni. Allora ti prego, teniamoci strette, anche stasera, come tutte le sere, nella nostra stanza, qui nel tuo cuore…che mai si è arreso. Aspetteremo il mattino insieme…se il sole deciderà di tornare.”

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