UNA ANTICA STORIA: DALLA BIRRA AL VINO

Robert Burns, poeta e compositore scozzese, nel 1782 scrisse una ballata: John Barleycorn, ripresa e messa in musica, negli anni settanta, da due gruppi inglesi folk e rock, Fairport Convention e Traffic.
Diceva più o meno così: C’erano tre re venuti dall’Oriente che fecero crescere Giovanni Chicco d’Orzo mettendogli una zolla di terra sulla testa. In primavera, appena cresciuto, i tre, decisero che John Barleycorn – G. Chicco d’Orzo – doveva morire. E si diedero ad una violenza sfrenata: prima lo falciarono, poi lo presero a sprangate, l’impiccarono, l’immersero in una buca d’acqua scura; in seguito lo bruciarono tra le fiamme e infine lo maciullarono tra ganasce di pietra.

La ballata è il procedimento in versi per produrre la birra dall’orzo.
Nella realtà le fasi di produzione della birra, sono più dettagliate e istruttive e la violenza dei versi si stempera quasi in benedizione, quando si pensa al prodotto finito, che accompagna le pizze con gli amici o la partita della nazionale davanti alla tv.
Prima di tutto i semi dell’orzo vanno lasciati germogliare affinché gli enzimi che si attivano con la germinazione convertano l’amido in maltosio, o zucchero di malto. Poi vengono essiccati in modo che parte del maltosio si trasformi in malto. A quel punto il malto viene fatto fermentare per trasformare la sostanza zuccherina in alcol. Qui entra in azione il cosiddetto “lievito di birra”, microrganismi funginei del tipo: Saccharomyces cerevisiae, e in alternativa: Saccharomyces carlsbergensis che producono l’alcol etilico, rigorosamente in ambiente anaerobico. Se entra un po’ d’aria nel recipiente di fermentazione, il lievito non farà che trasformare lo zucchero in acqua, diossido di carbonio e altre cellule di lievito. In assenza di ossigeno il lievito non riesce ad ossidare completamente lo zucchero, l’operazione si interrompe a uno stadio incompleto, producendo etanolo.
Detto per inciso, questo procedimento racchiude tanta energia chimica che oltre che per uso alimentare, l’etanolo, può alimentare un motore a combustione interna.
Infine il procedimento di produzione della birra si completa con l’aromatizzazione, dove l’additivo principale è il luppolo per compensare la dolcezza del malto; luppolo che viene anch’esso essiccato, oppure no: dando in tal caso, origine a birre di produzione stagionale.
Qui mi fermo col procedimento di produzione né vado oltre sulle tipologie e caratteristiche delle centinaia di varietà di birre esistenti al mondo. In questo vi lascio a Wikipedia che certo è più esauriente e completo di quanto possa fare io, confessando solo il rammarico di non aver studiato agraria – con la mia formazione di geologo: la Terra e non i suoi prodotti – cosa che avrei sempre desiderato approfondire.

I popoli del bere birra
Scavi effettuati nella Mezzaluna fertile a sud est del Tigri e l’Eufrate, precisamente nell’insediamento neolitico di Netiv Hagdud, vicino Gerico, datato intorno all’ 8500 a. C. hanno dato alla luce oltre che strumenti di raccolta come falci di selce, tracce di coltivazione di fichi, pistacchi, ghiande e mandorle e abbondanza di resti di grani d’orzo. Il periodo è quello della cosiddetta “rivoluzione neolitica” che diede origine all’agricoltura stanziale. Si ritiene che l’orzo fosse già l’elemento primario della dieta di quei popoli. Si deve arrivare al 1700 a. C., in Mesopotamia, per avere prova documentata della produzione della birra dall’orzo e dal farro, quando addirittura la vendita della birra sviluppò la professione di birraio.
Parte della retribuzione ai lavoratori veniva corrisposta in birra. Il tutto era regolamentato dal Codice di Hammurabi (1728-1685 a.C.) che tra l’atro condannava a morte chi adulterava o diluiva la birra con acqua. Nella loro cultura la birra aveva anche un significato religioso: veniva bevuta durante i funerali per celebrare il defunto e come rito propiziatorio verso le divinità.
Nel periodo egizio la birra veniva bevuta già dall’infanzia e, mischiata col miele, fornita ai neonati quando le madri non avevano latte.
Nei libri sacri del popolo ebraico come il Talmud: nel Deuteronomio si racconta che durante la festa degli Azzimi si mangiava per sette giorni il pane senza lievito e si beveva birra.
Nell’Antica Roma i gladiatori erano chiamati hordearii “mangiatori d’orzo”.
Avvezzi alle piacevolezze del vino – anche se addizionato con sale e acqua marina concentrata – non è che tutti apprezzassero la birra. Tra i patrizi, anzi, trapelava il disprezzo perché bevanda associata ai costumi incivili dei barbari che vivevano alla periferia dell’Impero.
Così Plinio il Vecchio: “Anche i popoli dell’Occidente conoscono una loro ubriachezza, grazie alla macerazione dei cereali, da cui in Gallia e in Spagna si ottengono molti tipi di bevande […] Oh, zelo meraviglioso del vizio! Si è escogitato il mezzo di rendere persino l’acqua capace di ubriacare” da Storia Naturale.
Tuttavia ci furono anche personaggi famosi tra i romani, come Agricola, governatore della Britannia, di parere contrario. Una volta tornato a Roma nell’83 d. C. portò con sé tre mastri birrai da Glevum, l’attuale Gloucester, e fece aprire il primi pub nella penisola italiana.
E, infine i sardi, che hanno fatto sempre storia a sé, come usanze e costumi: producevano e consumavano birra sin dal 1350 a. C.
I ceppi di lievito più antichi nell’albero evolutivo dei lieviti derivano dal vino di palma africano che si ricava dalla linfa delle palme. Ovviamente anche la specie umana affonda le radici in Africa: questa circostanza apre la strada all’affascinante possibilità che il Saccharomyces cerevisiae fosse impegnato nella fermentazione del vino in Africa prima della coltivazione e domesticazione dell’orzo e di altri cereali e dell’introduzione della birra e del pane nella dieta umana.
Il lievito utilizzato oggi in Giappone per ottenere il vino di riso (sake) e quello usato per la produrre il vino d’uva appartengono a rami separati dello stesso albero genealogico, segno di due coltivazioni e domesticazione diversi: una avvenuta in Oriente e l’altra in Occidente. Questo dato non sorprende, dal momento che il riso fu domesticato in Estremo Oriente in modo completamente indipendente dalla domesticazione dei cereali della Mezzaluna fertile. La separazione tra il levito orientale e occidentale dovrebbe risalire a oltre dodicimila anni fa.
Ma viene da chiedersi: il Saccharomyces cerevisiae è talmente buono e altruista da offrirci l’opportunità di produrre birra, pane, vino e tante altre bevande di tipo alcolico senza un tornaconto per se stesso ? In effetti i lieviti produttori di alcol condividono un gene con un enzima chiamato “alcol deidrogenasi” (ADH), usato per produrre etanolo, ma al tempo stesso il Saccharomyces ha anche una seconda e modificata copia del gene che gli permette di invertire il processo – e quindi sostenere il proprio metabolismo – grazie a un enzima chiamato ADH2. È quest’ultimo a renderlo un perfetto alcolista di successo.

Altro che Matusalemme
Abbiamo detto che la storia evolutiva delle bevande fermentate ebbe inizio decine di migliaia di anni fa.
In effetti, neanche 200.000 anni fa con la comparsa dei primi esseri umani, o dieci milioni di anni fa con la diversificazione delle grandi scimmie, ma addirittura nel Cretaceo, tra i 125 e 150 milioni di anni fa, con l’avvento delle piante da fiore e dei primi frutti. Fu allora che gli antenati dell’odierno lievito di birra iniziarono la loro carriera di consumatori di zucchero e svilupparono la capacità di trasformarlo in etanolo, dai frutti caduti dagli alberi e avviati verso la fermentazione.
Per chiudere un aneddoto simpatico, anche se non privo di una certa crudeltà.
Tutti sappiamo delle proprietà di conservante dell’etanolo, basta pensare alla frutta sotto spirito o ai campioni di insetti che gli entomologi conservano in alcol denaturato.
Beh, una cosa simile capitò al vice ammiraglio lord Horatio Nelson. Nel giorno della famosa vittoria di Trafalgar – in punto di morte a causa della pallottola di un cecchino – chiese che il corpo non venisse sepolto in mare, come previsto dalla tradizione navale, ma riportato in patria. La leggenda vuole che, per preservarla durante il lungo tragitto verso casa, la salma di Nelson venisse chiusa in una botte di rum della Royal Navy. Purtroppo, quando la nave di Nelson attraccò a Portsmouth, di rum non ce n’era più nemmeno un goccio: i marinai avevano fatto un buchino nella botte e se l’erano scolato tutto.
Secoli prima del rum aromatizzato alla menta o al rosmarino… già esisteva il rum aromatizzato all’ammiraglio.
[…continua, alla prossima col vino]

P.S. Ricordo, con una certa nostalgia per avervi partecipato due volte, che questo primo fine settimana di ottobre doveva essere l’ultimo appuntamento di f.s. dell’Oktoberfest di Monaco di Baviera, la sede storica della sagra popolare della birra. Purtroppo, causa Covid è stato rinviato tutto all’anno prossimo.
Prosit lo stesso, magari anche solo a domicilio: bionda, rossa o bruna… basta che sia buona birra!

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