L’Ingratitudine

L’intervento qui riportato è stato pubblicato sul n. 235 di settembre scorso di “Nuovo Meridionalismo”, il periodico di attualità e cultura edito da Generoso Benigni.

Già da tempi remoti narrava Fedro di un topolino che, giocando nei campi, finì su un leone dormiente. Questi, risvegliatosi, lo catturò con una zampata. Ma il topolino si scusò dell’involontario accaduto, tanto che il leone decise di perdonarlo e così lo liberò.

Senonché giorni dopo, il leone cadde prigioniero in una trappola e cominciò a ruggire.

Il topo lo udì, accorse e, grato dell’azione ricevuta in precedenza dal leone, rosicchiando i legami, riuscì a liberarlo.

Un simile debito di gratitudine – narra sempre Fedro – sentì a sua volta un leone, che, trafitto ad una zampa da uno spino, fu generosamente aiutato da un pastore che glielo estrasse. Di poi quell’uomo, per un delitto che non aveva commesso, fu ingiustamente condannato “alle belve” nel circo.

Tra queste v’era proprio il leone da lui già prima curato; il quale, riconoscendo il suo benefattore e memore del soccorso da lui ricevuto, invece di assalirlo, gli porse ancora la propria zampa.

Il re, appreso il fatto, ordinò di risparmiare quel leone e di rimandare il buon pastore ai suoi genitori.

La gratitudine, nientemeno già dall’antico immaginata come una “qualità” degli animali e poi attribuita anche agli umani, è il sentimento di un dovere morale a fronte di un beneficio ricevuto, dovere di ringraziare il benefattore ed eventualmente ricambiare per riconoscenza, benevolenza, giustizia.

All’eventuale “offesa” di questo sentimento ha poi conferito giuridica rilevanza l’ordinamento dello Stato, appunto sanzionando, in tassative ipotesi, l’ingratitudine del donatario verso il donante.

Infatti, in forza degli artt. 800 e 801 cod. civ., la donazione può essere revocata per ingratitudine con domanda proponibile quando il donatario abbia commesso uno dei fatti previsti dall’art. 463, n. 1,2,3 cod. civ. (relativi a omicidio e calunnia), ovvero si sia reso colpevole di ingiuria grave verso il donante o abbia dolosamente arrecato pregiudizio al patrimonio di lui o gli abbia rifiutato indebitamente gli alimenti a norma di legge.

Revocata la donazione per ingratitudine, il donatario deve restituire i beni in natura, se essi esistono ancora (e i frutti relativi), ovvero il loro valore se il donatario ha alienato i beni (art. 807 cod.civ.).

Ai sensi dell’art. 770 cod. civ., “E’ donazione anche la liberalità fatta per riconoscenza o in considerazione dei meriti del donatario o per speciale remunerazione.

Non costituisce donazione la liberalità che si suole fare in occasione di servizi resi o comunque in conformità agli usi.

Perché si possa parlare di donazione remuneratoria e di conseguente necessità dell’atto pubblico, occorre che l’attribuzione patrimoniale venga effettuata come segno tangibile di speciale apprezzamento dei servizi in precedenza ricevuti, che alla detta attribuzione non venga data funzione o carattere di corrispettivo, e che il donante si induca ad essa spontaneamente, pur sapendo di non esservi tenuto né per legge né per adempimento di un’obbligazione naturale o di un uso del costume.

In caso contrario, tale figura deve escludersi e conseguentemente deve ritenersi non necessaria la forma solenne dell’atto pubblico.

L’intero rapporto, unitariamente considerato, va regolato in base al criterio della prevalenza, ove l’attribuzione venga realizzata in parte “animo donandi” ed, in parte, “solvendi causa”.

In tale caso, cioè, va ricercato quale dei due intenti si sia voluto principalmente perseguire.

Se quindi l’attribuzione del bene si attua a causa della prestazione ricevuta e non semplicemente a motivo di essa, la connessione giuridica tra le due reciproche prestazioni non consente di configurare l’attribuzione come donazione remuneratoria, atteso che essa ha in tal caso un evidente carattere di onerosità.

Oltre che per “sdebitarsi”, benché non esista un debito, la donazione “de qua” può esser fatta per “premiare”.

In quest’ultimo caso il motivo della donazione consiste nell’ammirazione cagionata da particolari meriti del donatario, od anche di gratitudine per opere o studi da lui compiuti a favore della collettività o di determinate categorie oppure di singoli (diversi dal donante o suoi familiari, poiché in tal caso si tratterebbe di donazione fatta per riconoscenza).

In giurisprudenza (Trib. Monza, 13-3-2009) è stato affermato che l’assistenza prestata da uno dei figli ai genitori non determina, secondo la morale sociale, un’obbligazione in capo all’assistito o ad un suo parente stretto, in quanto le attuali convinzioni etiche della società (per quanto le recenti trasformazioni dei costumi abbiano condotto ad indebolire i legami familiari) ancora prospettano come doverosa l’assistenza dei figli ai genitori anziani; assistenza la cui doverosità è, del resto, sancita anche in via normativa dall’art. 433 n. 2 cod.civ.. Ne deriva che, in tale situazione, l’attribuzione patrimoniale effettuata dal genitore a favore del figlio potrebbe, al più, ricondursi nell’ambito delle donazioni remuneratorie, quale atto sorretto da uni spirito di squisita liberalità ma generato, sul piano morale, dal desiderio di premiare un soggetto ritenuto, secondo una valutazione personale e non sociale, particolarmente meritevole.

La donazione remuneratoria è assoggettata alla normativa della donazione (artt. 769 ss. c.c.)

Le uniche particolarità della disciplina attengono alla irrevocabilità della donazione remuneratoria per ingratitudine o per sopravvenienza di figli (805), all’insussistenza per il donatario di prestare gli alimenti al donante (437) ed alla limitazione della garanzia per evizione al solo caso della donazione fatta per speciale remunerazione (797).

Spetta al donatario, che voglia avvalersi di siffatti benefici della disciplina, dare la prova che si tratti di donazione remuneratoria; carattere che, peraltro, non deve necessariamente risultare dall’atto o comunque da dichiarazione del donante; la quale anzi, da sola, non potrebbe rilevare a tale effetto.

Peraltro, è stato anche ritenuto che l’indegnità a succedere, ni casi di cui all’art. 463 cod. civ., travolga anche il legato che sia stato fatto per riconoscenza o per remunerazione, non essendo applicabile al riguardo il principio della irrevocabilità dettato per le donazioni remuneratorie dall’art. 805 cod.civ. (v. Cass., 5-11-1992, n. 11979).

Le liberalità d’uso del 2° comma del citato art. 770, costituite dalle mance, regali di Natale e simili, si distinguono da quelle di cui al 1° comma perché sono usuali e sono sottratte alla disciplina loro propria a causa del motivo che le determina, atteso che in esse il disponente appare mosso, pur non essendo obbligato, da un prevalente “animus solvendi”, o comunque da un desiderio di conformarsi all’uso che attenua il suo intento liberale, che non è più libero e spontaneo (v. Izzo, Adempimenti e liberalità, pg. 373).

L’uso determina sia l’entità che i soggetti di siffatte liberalità, che si ritiene debbano essere di modico valore e proporzionate alle condizioni economiche delle parti ed ai rapporti tra le stesse, oltre che alla loro posizione sociale.

Quanto alla disciplina, le norme sulla donazione sono ritenute applicabili soltanto se non siano in contrasto con la natura della liberalità d’uso, che non è considerata donazione dal citato art. 770/2 (Sono così inapplicabili gli artt. 774-778 e 782).

Inoltre, per espressa previsione di legge, non si applicano le disposizioni sulla revocazione per ingratitudine e per sopravvenienza di figli, o relative alla riduzione (809), alla collazione (742) e alla imputazione “ex se” (564).

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