Schegge nell’anima

Poesia scelta: Schegge nell’anima
Autrice: Maria Caputo

Sul tavolo dei ricordi
ho inghiottito chiodi,
avvelenati.
È stato battuto ripetutamente,
un martello,
le schegge
si sono sparse ovunque.
Nella memoria delle emozioni.
Nel cuore dell’anima
limpida e chiara.
Poi solo pensieri
turbolenti, neri.
Niente più come prima.
La notte inghiotte,
tutta la melma.
L’ultima goccia,
corrode ogni discrepanza.
Il vento soffia via le parole,
un palpito dentro la stanza,
uno sbattere di ciglia,
uno sguardo al mio volto,
noto come non mi rassomiglio.

A cura di Emanuela Sica

È questa un’elegia dell’essere in bilico tra l’apparire e il sentire, tragica eppure reale, che prende i passi del tempo, a ritroso nei ricordi, per ripercorrere i momenti che vennero a uccidere i sogni, a distruggere la vita, avvelenata dalle ferite dei chiodi. Delle circostanze destinali che scelgono e decidono dove vada ad annidarsi la sofferenza. Una lirica che sembra scritta “destinalmente” per i nostri giorni anche per quelli che avvolgono l’Ucraina e i suoi figli. La sento che si insinua, come fosse una premonizione, a tracciare l’ellissi della disperazione, della distruzione, nel cuore di chi vive la guerra e la sua devastazione. La poetessa entra nella carne del dolore, nella più intima consistenza di quella condizione, di quei corpi battuti da un martello di follia cieca, di cattiveria incomprensibile che ogni cosa avvolge e travolge.
E allora per ribaltare quel dramma, cosa resta all’essere umano se non voltarsi indietro e provare a temporeggiare nella sofferenza, mitigandola quel tanto che basta, con la reminiscenza della memoria che, in pochi istanti, strappa la staticità asfissiante di quel momento e ci proietta in giorni di lietezza e serenità, quando ancora era possibile respirare senza sentire l’odore delle esplosioni, delle bombe, del sangue, del fumo degli incendi, dei cadaveri martoriati e maciullati da schegge impazzite.
In questa poesia quello che colpisce è l’esatta rappresentazione dell’agonia, che prende le vesti della notte ed ingoia, senza lasciare alcuna speranza a chi viene risucchiata, mondi e dimensioni che mai più prenderanno la via del ritorno ma si allontaneranno sempre di più. E come non pensare, nella scenografia di queste parole, che cadono pesanti come un bombardamento in atto sulle nostre coscienze, al sicuro nei nostri letti, nelle vite tranquille del quotidiano esistere, alla famiglia colpita a morte mentre era in fuga da Irpin. Madre, due figli di 9 e 18 anni, sotto gli sguardi attoniti del marito e padre che, da lontano, li ha visti crollare, come birilli, sull’asfalto bollente e indecente di una guerra senza confini e senza rispetto alcuno dei civili. Il limite oltre il quale un folle ha deciso di mettere in moto la devastazione, lo sterminatore, ricade su corpi inermi, innocenti, che avevano avuto una sola colpa, trovarsi sulla traiettoria del mortaio che non distingue tra bene e male ma ha solo una carica che puzza di morte e di indifferenza. E quando anche l’ultima goccia di sangue avrà corroso il desiderio di rinascita, ecco il vento a soffiare via ogni cosa, anche le parole, spesso inutili, ingiuste, indegne, che si portano al cospetto dell’opinione pubblica, completamente avulsa da quella realtà così drammatica. Così inverosimile eppure autentica.
La capacità di questa poesia è tutta nell’empatica ricerca di immedesimazione, la poetessa entra, a piene mani, nell’anima di chi viene ad essere rappresentato, trapassando la bolla di dolore, e risale poi, in superficie, per richiamare ascolto alle nostre orecchie e attenzione ai nostri occhi (per chi ne possiede ancora il dono).
Indipendentemente da come la si voglia interpretare, questa poesia è una traccia universale che impone, a tutti, di non voltarsi davanti a un dolore. È questa l’essenza di verità che viene fuori dalle note di questa composizione che suona triste e disperata, come un cantico di ingiustificata sofferenza, dove il pensiero si fa materia disperata e soggiogata dalla drammaticità del momento. E chi riesce a riconoscere se stesso quando è completamente avvolto da quella “esplosiva” dimensione di angoscia? Nessuno riesce a rivedersi com’era prima che ogni elemento della propria esistenza venisse stravolto. Neanche il più forte degli uomini potrebbe o sarebbe in grado di andare oltre la visione nera della disperazione e ribaltare il dolore in altro, in nuova cosa, capace di salvare l’anima dalla disperazione.
Anche la punteggiatura, l’uso delle virgole nonostante il capoverso, indica pause più lunghe di elaborazione e riflessione della condizione che si vive e si muove nella poesia. Chiariscono che i passi sono per alcuni versi incerti per altri pianificati con cautela, mentre i punti lasciano intravedere certezze che crollano e si fermano a guardarsi, sepolti, sotto nelle rovine di un mondo al collasso.
Eppure, nella consapevolezza di non essere più come si era prima, di non far più parte del mondo della serenità, quando non si dava tanto peso alla bellezza, forse attratti da altri obiettivi, rivelatisi poi futili amenità, si intravede una flebile speranza di ripresa. Rendersi conto che quello che si sta vivendo non è il mondo che si desidera è, comunque, un passo di convinta maturità a voler cambiare quella direzione ingiusta e ingiustificata che si è presa, a prescindere dalle responsabilità in ballo.
La presa di coscienza di non essere più il ritratto di ieri, delle modifiche che si sono abbattute sulla nostra vita, sull’esistenza ad essa collegata, è la luce che brilla in fondo ad un magma oscuro e pauroso. Ed è forse seguendo quella flebile traccia che si potrebbe far riemergere l’anima limpida e chiara di un tempo? La poesia non dà una risposta netta ma traccia una possibilità di fuga. Sta a noi saperne cogliere il senso e mettere in pratica la capacità di rielaborazione per rimetterci in piedi dopo la caduta.

Maria Caputo nasce a Villamaina un paesino in provincia di Avellino, scrive poesie e racconti da quando era ragazza. È autrice di canzoni. Come poetessa ha pubblicato tre sillogi: Sprazzi; Tsunami; Note di poesia (da cui è tratta la poesia scelta).

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