Il “giuramento di Ippocrate”

(F.G.) Per l’importanza che riveste e la sostanza che condividiamo appieno, collochiamo volentieri nello spazio degli Editoriali il “pezzo” di Clara Spadea


– di Clara Spadea –

Come ogni giorno , in uno spacco di tempo libero, mi è capitato di dare un’occhiata alle notizie quotidiane che mi arrivano on line. E tra le tante, con grande piacere ho appreso che il 16 aprile u.s., presso un noto hotel di Avellino, si è svolta una manifestazione organizzata dall’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia per il giuramento di Ippocrate di 26 giovani medici.

Trovo che questa sia una notizia molto importante data la necessità, per l’Ospedale Moscati di Avellino, di nuovi validi professionisti che, ove rimanessero nella nostra provincia, potrebbero colmare la attuale grave carenza di organico; carenza che a volte, sappiamo bene, ha provocato addirittura delle insopportabili reazioni violente a danno di incolpevoli medici ed infermieri, da parte di familiari degli ammalati, esausti per le lunghe attese al Pronto Soccorso prima di poter ottenere una visita ed una diagnosi.

Del resto, in quanto sorella di medico, so dei turni diurni e notturni disumani imposti negli ultimi anni proprio a causa del limitato numero di personale. È quindi ovvio che l’arrivo di altre forze lavoro nel settore costituisce una novità fondamentale non solo dal punto di vista occupazionale dei giovani, ma anche per la nostra Azienda ospedaliera.

Come se non bastasse, sottolineo di essere rimasta particolarmente colpita dalle parole riportate nell’editoriale, pronunciate dal Presidente dell’Ordine, dr. Francesco Sellitto, che, nel rivolgersi ai giovani professionisti abilitati, ha evidenziato loro: “…ora avete il diritto di curare, entrerete nell’intimità delle persone, fatelo con gentilezza, ascoltate sempre i vostri pazienti…”.
Ebbene, nella lettura dell’articolo, trovarvi i due termini “gentilezza” e “ascolto” è stato per me come sentire all’improvviso risuonare nell’aria una dolce sinfonia d’orchestra in una giornata buia e piovosa!

Io non so se sia una prassi normale pronunciare simili frasi in queste occasioni, ma sicuramente richiamare l’attenzione dei giovani su quegli specifici concetti è stato il monito giusto ed essenziale da rivolgere a chi si appresta ad avere tra le mani la sofferenza fisica e psicologica delle persone; anzi ritengo sia un monito che andrebbe ribadito nel tempo per limitare, nei medici, i danni a volte conseguenti all’approccio continuo con il dolore ed anche con l’evento morte ed evitare, così, che una simile assuefazione possa, con comportamenti freddi e scostanti, mortificare le fragilità del malato messe già a dura prova dalla patologia sofferta.

E non sarebbe assolutamente vano, secondo me, se questo monito divenisse la guida ispiratrice nel quotidiano di tanti altri mestieri che, sia pure diversamente, fanno entrare comunque l’operatore in contatto con il vissuto degli altri.

Tra questi, mi viene da citare quello degli insegnanti, innanzitutto della scuola primaria, i quali, si sa, si trovano ad interagire da subito con la “mente assorbente” dei bambini, cosa che richiederebbe garbo, ascolto in uno con l’ autorevolezza ma non con l’ autoritarismo. E a questo proposito mi tornano in mente gli anni del liceo, quando, cioè, in piena adolescenza la professoressa di filosofia, la valida sig. Olga Petrillo, mi chiese cosa, potendo, avrei voluto cambiare nella scuola. La mia risposta non corrispose a ciò che pensavo realmente, certa com’ero di essere comunque incompresa e magari derisa. Ma il mio desiderio, all’epoca, era quello di istituire per tutti i professori un corso obbligatorio di psicologia che li aiutasse a comprendere noi alunni e i nostri tormenti interiori, cosa all’epoca impensabile, visto che la psicologia era un termine inesistente nella pratica e nella teoria.

Ma i mestieri a cui andrebbero imposti i canoni etici menzionati, dal mio punto di vista, potrebbero essere un po’ tutti. Penso, ad esempio, a chi opera nell’ambito del diritto, che dovrebbe sempre perseguire la legge morale della giustizia oltre che quella sociale di cui all’art. 38 della Costituzione; e penso anche a quei giornalisti che, a volte, dimenticando l’aspetto umano della loro professione, con il divulgare determinate notizie, fondate o meno, hanno provocato il suicidio di chi era stato crudamente esposto alla gogna pubblica; o, ancora, al personale paramedico che, al pari dei medici, si trova di fronte chi, a prescindere dall’età, è in lotta innanzitutto con la propria capacità di resistenza.

Insomma richiedere a chiunque si approcci ad un lavoro che comporti un contatto con l’altro, che sia un bambino nella scuola, un anziano allo sportello di un ufficio, un paziente o una persona qualsiasi, richiedere ed applicare, dicevo, “gentilezza”, “ascolto”, pazienza, significa comprendere che non si può mai avere davvero contezza della fragilità che alberga nell’animo delle persone con cui si entri in contatto e quindi del male che si può provocare con comportamenti alteri e ingiustificatamente arroganti. Significa altresì formare nel tempo giovani che sappiano usare gentilezza nei confronti degli anziani, o figli che sappiano, all’occorrenza, prendersi cura dei genitori, e così via.

In altri termini, la gentilezza, l’ascolto sono un modo semplice e universale per educare al meglio i nostri giovani e per preservare, poi, un po’ di umanità.

Ed oggi, si sa, la vera sfida è restare umani!

I commenti sono chiusi.