Psicopatologia del social quotidiano

(F.G.) Per l’importanza che riveste e la sostanza che condividiamo appieno, collochiamo volentieri nello spazio degli Editoriali il “pezzo” di Mirella Napodano.

– di Mirella Napodano –

Mi scuso per aver grossolanamente parafrasato il titolo di una delle più famose opere di Sigmund Freud, la cui edizione originaria risale al 1901. In essa, il fondatore della psichiatria moderna descrive con una grande dovizia di esempi – tratti anche dall’esperienza personale – le più diffuse manifestazioni patologiche della mente: dalle dimenticanze apparentemente involontarie ai tic e ai lapsus (verbali, di lettura, di scrittura); dalle sbadataggini ai veri e propri errori in cui persone perfettamente ‘normali’ incorrono, rivelando senza alcuna intenzionalità pensieri e sentimenti celati nell’inconscio. Nel testo Freud dimostrò inoltre come questa tipologia di comunissimi inconvenienti, generalmente ritenuti frutto di casualità o disattenzione, traggano origine dalle medesime pulsioni psichiche che provocano lo sviluppo delle nevrosi e cioè da pensieri, affetti o propositi rimossi nel subconscio che a tratti prorompono nella comunicazione verbale (o più raramente mimico-gestuale) superando la vigilanza della coscienza. In tal modo, la parte criptica del pensiero giunge ad esprimersi – almeno in parte, a dispetto del soggetto – proprio attraverso gli inconvenienti perturbanti di un atto inopportuno e involontario o di un’azione sintomatica.

Il tumultuoso e sempre più pervasivo avvento dei social nel mondo contemporaneo, lungi dall’eliminare dalla comunicazione umana tali fenomeni borderline di natura psicopatologica, ne aggiunge altri ben più perniciosi, in quanto destinati alla diffusione istantanea e indiscriminata presso un pubblico non di rado disinformato e come tale maggiormente influenzabile. Sorge così la smania di apparire a tutti i costi nella chat del gruppo, anche solo per un minuscolo like che porti in giro la nostra firma, quando si ha premura di mostrarsi a tutti i costi ma non si dispone di ulteriori argomenti da aggiungere alla discussione in atto. A questo si aggiunga l’uso pervasivo degli emoticon: piccoli simboli in parte caricaturali, utilizzati per sintetizzare emozioni quali sorpresa, rabbia, felicità, preoccupazione, ma che – proprio per la loro immagine stereotipata e inespressiva – rischiano di diventare fonte di equivoci e incomprensioni fra gli interlocutori virtuali. Ma chi frequenta quotidianamente i vari palcoscenici digitali di cui oggi si può disporre è deciso a correre il rischio dell’equivoco, anche quando può degenerare in conflitto.

È anche con queste modalità che una persona riesce a raggiungere l’agognata visibilità che, con un certo impegno speso tra svariati commenti e dichiarazioni autoreferenziali, può trasformarsi addirittura in notorietà, seppure circoscritta ad ambiti a dir poco mediocri sul piano culturale. È il provincialismo dei social: la speranza di una scalata sociale che porti il nostro nome a conoscenza della pubblica opinione, non si sa bene a che scopo o con quali prospettive. Appaiono così, negli eventi celebrati sui social, nomi ricorrenti che, privi di una biografia culturale di seppur minimo spessore, all’improvviso sono indicati come poeti, scrittori, opinionisti, quando non si atteggiano addirittura ad artisti ed intellettuali di chissà quale pregio. È pur vero che oggi è molto più facile di una volta pubblicare a buon mercato un libro con case editrici on line che non vanno tanto per il sottile o scrivere pensieri in versi nell’ingenua convinzione di esser diventati autori di liriche immortali. Il mondo letterario odierno, particolarmente dopo la pandemia, è pieno di questi sfoghi di penna, nella migliore delle ipotesi infarciti di reminiscenze scolastiche. E non basta, perché a fronte di questi fenomeni sorgono anche improvvisate iniziative pseudo-culturali come premi letterari elargiti ad personam senza bandi di concorso e quel che è peggio, senza giurie giudicanti né comitati scientifici all’altezza di conferire credibilità letteraria ad un’improbabile premiazione. Vien da chiedersi: Cui prodest? A chi giovano questi comportamenti? Si giustificano solo per la visibilità che indebitamente conferiscono ai loro protagonisti e per quel minimo di circuito economico che riescono a produrre in una partita di giro autoreferenziale, destinata ad esaurirsi piuttosto in un corto circuito di convinzioni e pretese ingiustificate.

Paradossalmente i social, nati per condividere pensieri e parole, finiscono talvolta per diffondere sul web messaggi ambigui ed inautentici, creando inedite forme psicopatologiche di arrivismo intellettuale tali da strumentalizzare ogni persona ed ogni avvenimento utile, in funzione di una visibilità malata e parossistica. In tale ottica, ogni amicizia rischia di essere capitalizzata per un fine solipsistico, in funzione del quale si finisce con il selezionare e privilegiare le relazioni sociali che possono rivelarsi maggiormente utili agli scopi prefissati. Il tutto, in vista di costruire e diffondere nel modo migliore un’immagine che sancisca e consolidi nel tempo la nostra pretesa leadership artistico-culturale sul territorio. Si ha notizia che in molte aziende esistono persino casi di arrivismo virtuale che rasentano il cyberbullismo, posti in essere da impiegati che aspirano a fare carriera rapidamente e senza farsi scrupoli. Altra cosa sono i poeti sociali di cui ha parlato papa Bergoglio nel IV incontro dei Movimenti popolari del 16 ottobre 2021:

Così mi piace chiamarvi: “poeti sociali”. Perché voi siete poeti sociali, in quanto avete la capacità e il coraggio di creare speranza laddove appaiono solo scarto ed esclusione. Poesia vuol dire creatività, e voi create speranza. Con le vostre mani sapete forgiare la dignità di ciascuno, quella delle famiglie e quella dell’intera società con la terra, la casa e il lavoro, la cura e la comunità. Grazie perché la vostra dedizione è parola autorevole, capace di smentire i rinvii silenziosi e tante volte “educati” a cui siete stati sottoposti, o a cui sono sottoposti tanti nostri fratelli. Ma pensando a voi credo che la vostra dedizione sia principalmente un annuncio di speranza. Vedervi mi ricorda che non siamo condannati a ripetere né a costruire un futuro basato sull’esclusione e la disuguaglianza, sullo scarto o sull’indifferenza; dove la cultura del privilegio sia un potere invisibile e insopprimibile e lo sfruttamento e l’abuso siano come un metodo abituale di sopravvivenza. No! Questo voi lo sapete annunciare molto bene. Grazie.

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